Oltre la realtà virtuale

    Oramai la troviamo nei videogiochi, al cinema, in televisione e perfino nelle applicazioni mediche. È la realtà virtuale (Vr), la possibilità di vedere concretizzarsi sotto i propri occhi ambienti e personaggi che non esistono, virtuali appunto. A integrare, e in alcuni casi migliorare, la Vr arriva ora l’Augmented Reality (Ar), che si distingue dalla “sorella maggiore” perché stavolta la realtà ricreata al computer si sovrappone a uno o più oggetti reali. Se la prima sostituisce la realtà quotidiana, la seconda la migliora aggiungendovi immagini generate al computer. Facciamo un esempio: un teschio di Deinonychus, un predatore vissuto nel cretaceo, può essere arricchito da diversi elementi virtuali, ovvero ossa mancanti, muscoli, tessuti, fino a raggiungere quello che i paleontologi ipotizzano fosse l’aspetto originale dell’animale. Questo e altre simulazioni sono alla portata di una nuova tecnica di Ar chiamata Virtual Showcase e realizzata da un gruppo di ricercatori presso lo statunitense Fraunhofer Center for Research in Computer Graphics, in collaborazione con la Bauhaus University in Germania e la Vienna University of Technology. Grazie a una serie di specchi assemblati in una configurazione convessa con la funzione di “beam splitters”, ovvero di separatori di fasci di luce, si possono proiettare diverse immagini su un oggetto reale. Finora gli specchi sono stati assemblati a formare una piramide a base quadrangolare (per far interagire con il sistema quattro persone contemporaneamente), oppure si è utilizzato un unico specchio concavo dalla forma di cilindro troncato. Gli oggetti reali vengono illuminati mediante una sorgente di luce a intensità controllabile, e le immagini vengono proiettate in modo stereografico, cioè in modo leggermente diverso per l’occhio destro e quello sinistro. Gli osservatori percepiscono l’ambiente ricreato mediante Ar indossando degli occhiali speciali che permettono di ricombinare le immagini stereografiche e quindi percepire un ambiente tridimensionale. Sugli occhiali sono inoltre installati dei dispositivi, ottici oppure elettromagnetici, di “tracking”, ovvero sensori che registrano i movimenti degli spettatori. In questo modo la proiezione viene continuamente aggiornata per soddisfare in ogni momento il nuovo punto di vista dell’utente. Si ottiene così un ambiente semi-virtuale, in cui l’osservatore può muoversi liberamente, senza dover indossare caschi ingombranti – i così detti Head-mounted displays necessari per accedere ambienti di realtà virtuale. Non solo: più spettatori possono condividere lo stesso ambiente, cosa che con la Vr non è possibile né con i caschi, in quanto sono ovviamente individuali, né con altri mezzi di proiezione perché non sono in grado di ricostruire più di un punto di vista alla volta. L’obiettivo del progetto, in parte finanziato dall’Unione europea, è quello di ricreare un ambiente dove “la computer grafica fornisca uno scenario di background “intelligente”, in cui gli utenti, anziché operare il computer, possono svolgere direttamente i loro compiti come nella realtà”, spiega Oliver Bimber della Bauhaus University. Le applicazioni sono numerose e nei campi più diversi: dalle simulazioni meteorologiche all’utilizzazione nei musei, come parte integrante di mostre ed esibizioni. Ma per ora il Virtual Showcase è solo un prototipo. Numerosi sono i dettagli tecnici da migliorare, per esempio il fatto che gli specchi tendono a deformare le immagini. Affinché non venga percepita dall’utente, la deformazione deve essere “pre-trattata” prima che le immagini vengano proiettate. “Questa è un’operazione che richiede tempo”, osserva Bimber. E non è la sola: un’altra difficoltà deriva dal fatto che le immagini vengono proiettate in modo stereografico. Questo significa che ogni fotogramma deve essere realizzato due volte, una per l’occhio destro e una per quello sinistro. “Se si hanno quattro utenti, questo significa che per ogni fotogramma si devono generare otto immagini a velocità reale”, conclude Bimber.

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