Anthony Monaco, chirurgo di Harvard e direttore del Centro trapianti del New England Diaconess Hospital, ha proposto che il governo Usa paghi 10 mila dollari ai cittadini disposti a cedere un rene. In questo modo, secondo Monaco, si incentiverebbe la donazione degli organi in patria e si scoraggerebbero i viaggi della speranza verso i paesi più poveri, dove è facile trovare bisognosi disposti a vendere parti del proprio corpo. E’ con il denaro che si risponderà al fabbisogno di organi, o piuttosto cercando soluzioni alternative? I pezzi del corpo umano possono essere venduti come pezzi di ricambio di un’autofficina, senza alcun problema di ordine etico? Offrire denaro in cambio di un organo è beneficenza o ricatto?
Di questo si è discusso durante una tavola rotonda, che si è tenuta qualche giorno fa a Roma, a cui hanno partecipato monsignor Elio Sgreccia, un rappresentante dell’Aido (aidonaz@uninetcom.it), l’Associazione italiana donatori di organi, Luciano Violante, presidente della Camera dei deputati, il trapiantologo romano Raffaele Cortesini, John Harris, professore di bioetica all’Università di Manchester, e Giovanni Berlinguer, ordinario di Igiene all’Università La Sapienza di Roma. La discussione ha preso spunto dal recente libro di Berlinguer e del bioetico brasiliano Volnei Garrafa La merce finale (Baldini & Castoldi).
“Non può essere ridotto tutto a merce”, ha ribadito Berlinguer. “Non sono di certo contrario al mercato, ma qualcosa deve rimanerne fuori: noi, con il nostro corpo, i nostri atti e pensieri. Stiamo rischiando di perdere di vista il vero pericolo, quello di alimentare la tendenza a giustificare tanti episodi su base utilitaristica. Prendiamo il fenomeno del donatore retribuito: questo subisce un’operazione con il minimo rischio e viene compensato. C’è chi dice che così si fanno felici due persone. Il prezzo è però stabilito da chi compra, non da chi vende. Un rene costa attorno ai 35 mila dollari, ma all’indiano che lo ha venduto vanno in tasca 3-4 mila dollari, il resto tocca all’intermediario, che spesso è lo stesso chirurgo. Se si accetta questa logica, allora si possono ripristinare anche la schiavitù e le colonie”.
Quali sono le soluzioni? Innanzitutto, stabilire regole e limiti. Inoltre, andrebbero meglio considerate almeno tre alternative: valutare nuove tecniche, come quelle che mirano a realizzare organi artificiali; favorire la cultura della donazione in luogo della tendenza alla vendita; insistere di più sulla cultura della prevenzione delle malattie.Questo è quanto sostiene Berlinguer, a cui si affianca monsignor Sgreccia: “La legge dovrebbe favorire e incentivare la cultura della donazione, non quella del mercato del corpo”.
Qualcosa sta cominciando a cambiare nel nostro paese se è vero che, da quando la legge ha stabilito i criteri per l’accertamento di morte, si registra un aumento dei trapianti del 10% all’anno . “Ma sono almeno 7 anni che discutiamo la legge sul silenzio-assenso, bloccata dall’opposizione di chi non è d’accordo per “principio morale” e per una vecchia concezione di sacralità del corpo”, continua Raffaele Cortesini. “Eppure, oggi, persino in Arabia Saudita, dopo un’attenta rilettura del Corano, è stato approvato l’espianto da cadavere. In Belgio, Francia, Austria, vige il silenzio-assenso. Qui da noi è tutto fermo. Allora, di fronte a un malato in lista di attesa non mi scandalizzo se vuole andare in India e pagare un organo per salvarsi”.
Più estrema la posizione di John Harris, il bioetico inglese che qualche mese fa ha suscitato un vespaio di polemiche con la sua proposta di una “lotteria dei trapianti”: “Non è vero che non c’è equità tra venditore d’organo e acquirente. In realtà è più forte chi vende, dato che chi acquista è più vulnerabile e teme per la propria sopravvivenza. Che c’è di male in questo scambio, soprattutto se, prima, si stabilisce il prezzo?”“Non mi pare che la questione stia nel denaro”, ha ribattuto Luciano Violante. “Il problema è di ordine culturale. Per allargare le basi del dibattito ho chiesto al Comitato di Bioetica di stilare alcuni documenti sull’eutanasia, i trapianti, la fecondazione artificiale, da discutere in Parlamento assieme agli esperti e alle associazioni. La gente ha bisogno di maggiori informazioni e di garanzie, mentre oggi, in questo campo, vige ancora una certa anarchia”.