Salute

Le ovaie stampate in 3D funzionano

Poco più di un anno le ovaie artificiali sviluppate dai ricercatori americani della Northwestern University (Stati Uniti) facevano il loro ingresso nel favoloso mondo degli organi stampati in 3d. E ora gli stessi ricercatori, in collaborazione con la McCormick School of Engineering, ne confermano le eccellenti prestazioni in un nuovo studio pubblicato su Nature Communications. Impiantate su femmine di topo private delle loro ovaie, le bioprotesi si sono, infatti, dimostrate in grado non solo di ovulare, ma anche di dare origine a una prole sana. “La nostra ricerca mostra che le bioprotesi hanno un’efficacia a lungo termine”, spiega Teresa K. Woodruff, della Northwestern University. “Utilizzare la bioingegneria al posto dei trapianti per creare strutture organiche che siano capaci di funzionare e di ripristinare la salute di un determinato tessuto è il Santo Graal della medicina rigenerativa”.

Più precisamente, le ovaie 3d, una volta impiantate nei topi, hanno avuto successo nell’aumentare la produzione di ormoni e nel ripristinare la loro fertilità. Ma lo scopo finale dello studio è quello di riuscire a influenzare anche gli ormoni e la fertilità delle donne sopravvissute al cancro infantile, che spesso sono esposte a un più alto rischio di infertilità in età adulta. “Le ovaie di alcune delle nostre pazienti colpite da un tumore non funzionano a sufficienza, per cui c’è bisogno di seguire terapie di sostituzione ormonale per innescare la pubertà”, spiega Monica Laronda, co-autrice dello studio.

Lo scopo di questa ricerca è quello di riprodurre in toto il funzionamento di un ovaio, in ogni fase della vita di una donna, dalla pubertà, fino alla menopausa, passando per l’età adulto”.

A rendere così efficienti queste ovaie artificiali sono l’architettura e il materiale, o “inchiostro”, utilizzati dal team di scienziati: in particolare, il materiale impiegato è la gelatina, un derivato dal collagene, che rende le impalcature sufficientemente rigide per poter essere impiantate durante l’intervento, ma anche abbastanza flessibili e porosi per interagire naturalmente con i tessuti del corpo. “La maggior parte delle gelatine è molto debole, dal momento che è costituita principalmente da acqua”, spiegano i ricercatori. “Abbiamo trovato una temperatura che gli permette di essere autosufficiente, di non collassare e di poter costruire più strati. Nessun altro è stato in grado di stampare la gelatina con una geometria così ben definita”.

Via: Wired.it

Marta Musso

Laureata in Scienze Naturali alla Sapienza di Roma con una tesi in biologia marina, ha sempre avuto il pallino della scrittura. Curiosa e armata del suo bagaglio di conoscenze, si è lanciata nel mondo del giornalismo e della divulgazione scientifica. “In fin dei conti giocare con le parole è un po' come giocare con gli elementi chimici”.

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