Ovuli sotto zero

Si chiama Elena, è italiana e ha quasi 6 anni. È il primo bambino nato da un ovulo crionconservato. Dopo di lei nel mondo sono state ottenute non più di 100 gravidanze, di cui 80 in Italia, dalle quali sono nati 50 bambini. Il nostro paese si può considerare quindi a ragione il capofila della ricerca scientifica sull’utilizzo degli ovociti congelati. Ruolo affermato nuovamente dal Ministero della Salute che l’ha voluta finanziare con 90.000 euro. A condurre uno studio di due anni saranno 11 centri coordinati dal bolognese Tecnobios Procreazione sotto la supervisione di Carlo Flamigni, il pioniere della procreazione assistita in Italia. Due gli scopi: sostituire, se possibile, il congelamento degli embrioni e conservare la fecondità delle donne costrette a sottoporsi a terapie che le rendono sterili. Per esempio alcune chemioterapie.Congelare cellule e non embrioni potrebbe essere la via per conciliare scienza e religione. “La legge sulla procreazione assistita”, ha dichiarato Flamigni presentando lo studio, “così come è stata proposta vieta il congelamento degli embrioni”. E non sembra possibile che venga in alcun modo emendata se, come hanno affermato i senatori dell’opposizione della Commissione Sanità del Senato – dove il decreto è in discussione – “non esiste confronto politico sulla procreazione medicalmente assistita”. Un testo blindato quindi. Che prevede la fecondazione e successivamente l’impianto al massimo di tre embrioni, senza possibilità di congelarne alcuno e limitando la possibilità di eseguire test pre-impianto per valutare le eventuali malformazioni.La via intrapresa dal centro bolognese sembra quindi obbligata, almeno in Italia. Ma se il congelamento degli spermatozoi e degli embrioni è ormai una routine clinica, quello dei gameti femminili è oggetto di molte discussioni ed è guardata ancora da alcuni biologi con sospetto. “In effetti il recupero degli ovociti dalle basse temperature a cui sono sottoposti per conservarli è tecnicamente molto più complesso di quanto non lo sia quello degli zigoti (cellule prodotte dalla fecondazione di un uovo da parte di uno spermatozoo, n.d.r.), degli embrioni e degli spermatozoi”, spiega Flamigni. Se non viene fertilizzata in tempi brevi infatti la cellula uovo è destinata a degenerare, mentre molte delle sue strutture possono essere danneggiate dal congelamento. “Lo studio si propone proprio di chiarire se questa tecnica può portare a malformazioni”, spiega Andrea Borini, direttore sanitario della Tecnobios. “E mettere a punto una tecnica”. Nel corso dei due anni di sperimentazione in ognuno degli 11 centri coinvolti verranno reclutate almeno 100 donne al di sotto dei 38 anni, da ognuna verranno raccolti 6/7 ovociti e congelati sulla base del protocollo approvato dall’Istituto Superiore di Sanità. Cercando così di accumulare una casistica adeguata a poter esprimere un giudizio scientificamente valido. Tre unità di ricerca – il dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche e il dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università de L’Aquila, il dipartimento di Ginecologia dell’Università britannica del Galles a Cardiff – saranno quindi impegnate a valutare le modificazioni indotte negli ovociti dai processi di congelamento e scongelamento, allo scopo di definire la metodologia ottimale per garantire il successo della conservazione.Si tratta del primo studio europeo di questo tipo. Prima d’ora infatti a livello mondiale le due principali esperienze cliniche erano state condotte dall’Ospedale Sant’Orsola di Bologna e proprio da Tecnobios Procreazione, ma su un numero di casi limitato. Molte coppie infatti non sono neanche a conoscenza della possibilità di congelare degli ovociti. “I dati ottenuti finora sono esigui per poter pensare di essere usciti dalla sperimentazione, ma sufficienti per sentirsi autorizzati a continuare sulla via chiaramente tracciata”, conclude Flamigni.

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