Parole: più sono lunghe, più hanno da dire

Se alcune parole sono più corte e altre più lunghe un motivo c’è. Ed è molto funzionale: la lunghezza di un vocabolo è direttamente correlata alla quantità di informazione che esso contiene. A spiegarlo sono gli scienziati cognitivi del Mit di Boston guidati da Steven Piantadosi  in uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences.

Da oltre settanta anni la teoria più nota sul significato della diversa lunghezza delle parole è quella di George Kingsley Zipf,  secondo cui i termini che si utilizzano più frequentemente sono anche i più corti, per una questione di “economia linguistica”. Una teoria che per i ricercatori del Mit ha sì le sue fondamenta – soprattutto se si pensa ai termini che si ripetono spesso, per i quali si ha la tendenza a minimizzare lo sforzo comunicativo (scritto o parlato che sia) – ma ha anche le sue limitazioni. Gli scienziati di Boston hanno, infatti, osservato che se si vuole trasmettere un’informazione e si vuole essere concisi nel farlo, allora è probabile che si scelga di omettere le parole che si possono intuire, citando solo quelle essenziali. Secondo una logica di economia linguistica che si basa più sul contenuto informativo delle parole che non sulla frequenza con cui si ripetono.

Una volta messa da parte la teoria di Kingsley Zipfs, i ricercatori hanno cercato di capire perché alcune parole sono più lunghe e altre più corte,  analizzando la frequenza, la lunghezza e la “quantità di informazione” dei termini contenuti in alcuni documenti presenti su Google in 11 diverse lingue europee. Per misurare il quantitativo di informazione delle parole, gli studiosi hanno messo a punto un metodo collegato alla loro prevedibilità (cioè basandosi sui termini che li precedevano). In pratica più una parola è di facile intuizione, meno informazione contiene, e viceversa. Combinando insieme tutti i dati, i ricercatori hanno osservato come la lunghezza di una parola sia correlata più alla quantità di informazione che veicola piuttosto che alla frequenza con cui è utilizzata. I vocaboli più lunghi sono quindi quelli più ricchi di informazione.

In questo modo, come hanno spiegato gli scienziati, la combinazione di termini brevi e meno brevi in una frase fa in modo che il flusso dell’informazione sia continuo e omogeneo, e non a blocchi, aiutando nel complesso la comunicazione.

Riferimenti: PNAS DOI 10.1073/pnas.1012551108

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