Pc umanitari

Il computer non ha un tubo di scappamento, né un canale di scolo, né una ciminiera. Questo, però, non vuol dire che sia una tecnologia “pulita”. Per fabbricarlo, si usa una quantità di combustibile pari a 10 volte il suo peso. E quando ce ne vogliamo disfare, è difficile riciclarlo efficientemente. Il pc di casa o dell’ufficio, allora, va a ingrossare la massa dei “rifiuti elettronici”. Un problema così grave, quest’ultimo, che l’Unione Europea si è vista costretta a prendere provvedimenti. Il temine entro il quale imprese e istituzioni saranno obbligate a provvedere ai loro rifiuti, agosto 2005, si avvicina. E mentre in Italia manca ancora un decreto di recepimento della direttiva europea, dalla Spagna vengono alcune proposte per ridurre i danni ecologici dell’economia dell’informazione.Infatti, una organizzazione non governativa di Barcellona, il Banc de Recursos, e un centro di ricerca, i Circoli d’innovazione tecnologica dell’Università di Cadice, stanno portando avanti indipendentemente dei progetti con una parola chiave in comune: “riutilizzo”. Se produrre e disfarsi di un computer sono azioni altamente inquinanti, che almeno la sua vita media di allunghi, sembrano suggerire i ricercatori. Effettivamente, uno studio della impresa giapponese Nikkei Computer, dimostra che la vita media di un pc, nel 2005, sarà pari a due anni. “Un tempo di utilizzo brevissimo, se si considera che, per costruirlo sono stati utilizzati 240 chilogrammi di combustibile fossile, 22 chilogrammi di prodotti chimici e 1500 chilogrammi di acqua”, commenta Enrique Montero, coordinatore del progetto dell’Università di Cadiz. Se si aggiunge che sono circa 130 milioni i computer venduti in un anno, il quadro assume tinte fosche. A quanto pare, l’economia basata sui computer non è affatto indipendente dalle materia prime. E su questo punto c’è poco da fare: “La produzione di cristalli di semiconduttore, come il silicio, è un’operazione intrinsecamente cara, dal punto di vista energetico”, spiega Montero, “perché comporta la trasformazione di un materiale disordinato in uno ordinato: una riduzione di entropia che si paga con molta energia”. La ricerca si sta orientando sulla biotecnologia per risolvere questo problema, “ma il passaggio al computer bionico, fatto di materiali biodegradabili, che potremmo dar da mangiare al nostro gatto, è ancora molto lontano”. Se produrre un computer richiede molta energia, neanche riciclarlo è facile. Un computer è fatto di componenti piccoli, diversi e tutti mescolati. Ê difficile separarli, si può recuperare ben poco, e alcune sostanze plastiche non si possono fondere e mescolare senza che perdano le loro proprietà. Per questo molti paesi preferiscono disfarsi dei rifiuti elettronici semplicemente inviandoli ai paesi poveri. È il caso degli Stati Uniti, che non hanno firmato la Convenzione di Basilea del 1989, contro l’esportazione di rifiuti, e che inviano in Asia quelli elettronici. Questi, bruciati a basse temperature, liberano diossina nell’aria e sostanze chimiche nella terra.“La maggior parte delle persone e delle imprese hanno bisogno di computer a basse prestazioni, con applicazioni di ufficio, internet e posta elettronica, e non c’è motivo di passare a un computer più potente ogni due anni”, sottolinea Montero. Il “consumismo del pc” risulta assurdo se si pensa a quante scuole o istituzioni pubbliche avrebbero bisogno di computer e non possono averli. “L’idea è proporre alle imprese di darci i loro computer usati gratuitamente, mentre per riciclarli dovrebbero pagare, in base alla nuova legge europea. Noi ci occuperemo di rimetterli in sesto e li metteremo a disposizione di scuole, centri anziani, eccetera”. È quello che già sta facendo il Banc de Recursos, che il novembre scorso ha inviato 350 computer donati dalla Deutsche Bank e ricondizionati a un gruppo di scuole boliviane, dove organizzerà anche corsi sul loro utilizzo e sui problemi tecnici. Montero, però, mette in guardia sulla logica della donazione. Infatti, le imprese potrebbero inviare rifiuti al terzo mondo sotto il nome di donazioni. “Bisogna rifiutare computer “cannibalizzati”, e puntare sullo sviluppo di strumenti di software libero che permettano un riutilizzo efficiente e problemi di manutenzione minimi”. Il software libero, infatti, permette di fornire all’utente finale solo i programmi di cui ha bisogno, e non tutto un pacchetto. Questo fa si che anche un computer vecchio, come uno dei primi Penthium, o anche un 486, possa funzionare efficientemente. “La nostra idea è che i computer alla fine siano disposti in rete con sistema Pixis. Ovvero: il computer dell’utente è solo un terminale, che potrebbe funzionare anche senza hard disk. L’utente in realtà lavora sul server”. Questo riduce al minimo la manutenzione e rende il computer utilizzabile indefinitamente, almeno finché non ci sono danni materiali di hardware. “Grazie alla nuova direttiva europea, potremmo garantirci un flusso costante di computer e non dipendere dall’arbitrio dei donatori”, conclude Montero.

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