Pena di morte, chi l’ha abolita e chi no

Diciassette e centoquaranta. Sono questi, rispettivamente, il numero di paesi che dal 2003, anno di istituzione della Giornata contro la pena di morte, sono diventati abolizionisti per tutti i reati, e quello degli Stati che oggi al mondo non ricorrono più alla pena capitale. Pari al 70% di tutto il pianeta, e appartenenti a ogni tipo di religione, cultura e sistema giuridico. L’ultimo, in ordine di tempo, ad abbandonarla è stato la Lettonia, che l’ha abolita lo scorso gennaio. È quanto rende noto Amnesty International nella decima Giornata contro la pena di morte, che si celebra oggi 10 ottobre.

In dieci anni, fanno sapere dall’organizzazione per la difesa dei diritti umani, 26 nuovi stati hanno ratificato il Secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici, che ha per obiettivo l’abolizione della pena di morte, portando il numero degli stati membri aderenti a 75. Ma non solo, come spiega Widney Brown di Amnesty International: “Nel 2011, solo 21 paesi hanno eseguito condanne a morte (sono 58 i territori e gli stati che mantengono la pena capitale, ndr), mentre all’epoca della prima Giornata mondiale erano stati 28. Nel frattempo, 17 paesi l’hanno abolita per tutti i reati, un segnale di grande progresso. Nonostante ciò, quella contro la pena di morte resta una lotta di lungo periodo e c’è ancora molto da fare per convincere i paesi rimasti a porvi fine una volta per sempre”. 

Se infatti la tendenza abolizionista negli anni è aumentata, sono ancora molti i paesi che ricorrono alla pena capitale, tra cui giganti come la Cina (dove non è possibile conoscere neanche il numero delle esecuzioni), gli Stati Uniti (sebbene alcuni paesi stanno diventando abolizionisti), a cui si aggiungono Corea del Nord, Iran e Iraq. A questo si accompagna anche la ripresa delle esecuzioni in paesi come Botswana, Gambia e Giappone, che sembravano aver interrotto il ricorso alla pena. 

Complessivamente nel 2011 sono state almeno 680 le condanne eseguite in 21 paesi e altre 1923 sono state quelle emesse, in 63 paesi. Un dato sottostimato, precisa Amnesty International, che riguarda solo i casi di cui l’associazione viene a conoscenza (ed esclude la Cina). Crimini religiosi, crimini sessuali e terrorismo, tra i reati puniti con la pena capitale, che spesso riguarda coloro che dispongono di pochi mezzi economici, non possono ricorrere a un avvocato o anche solo non capiscono la lingua.

“Nessun sistema giudiziario sulla Terra è perfetto e anche quando si rispettassero tutte le garanzie, resterebbe sempre il rischio di mettere a morte innocenti. Nessuno Stato può giustificare l’assunzione di un rischio del genere. Questa possibilità, così come l’irreversibilità della pena di morte, sono solo due delle ragioni per cui continuiamo a chiedere agli Stati mantenitori di ripensarci, nell’auspicio che si aggiungano alla grande maggioranza del mondo che ha detto basta a questa pena definitiva, crudele e disumana”, ha infine concluso Brown.

Riferimenti e credits immagine: Amnesty International

Nell’immagine in giallo i paesi totalmente abolizionisti

1 commento

  1. Purtroppo i dati ufficiali sono poco significativi. Infatti ci sono Paesi in cui l’esecuzione capitale avviene clandestinamente ad opera degli squadroni della morte (militari o polizia), soprattutto per i reati d’opinione. Inoltre c’è un paese enorme come la Cina (e i suoi satelliti) in cui la pena capitale è praticata su larga scala, senza statistiche ufficiali, anche per alimentare un lucroso traffico di organi, con la complicità del sistema giudiziario.
    E poi ci sono tanti paesi in cui la giustizia “fai da te” è lungi dall’essere abbandonata.
    Credo che scandalizzarsi di fronte alla pena di morte, che è solo un metodo per eliminare emarginati e altri soggetti deboli, sia un po’ ipocrita nel mondo attuale e che ci siano ben altre battaglie ideali da condurre per i diritti umani.

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