Sicuri che quando fa freddo ci si ammala?

È una di quelle questioni che, almeno nella cultura popolare, ha già trovato la sua risposta. Non prendere freddo che poi ti prendi un bel raffreddore, se non un’influenza vera e propria. Eppure la scienza ha risposte meno nette in materia, più sfumate, perché il legame causa effetto tra freddo-raffreddore (in questa sede ci limitiamo a questo soprattutto e non alle malattie da freddo vere e proprie) è meno saldo di quel che si crede. Anzi più propriamente potremmo spingerci forse a definirlo uno dei falsi luoghi comuni legati al freddo. Ma può capitare, e capita, che ogni anno qualcuno torni a interrogarsi sul tema, magari proprio quando fa più freddo: avete presente la neve e il gelo di questi giorni, sì? E volendo rispondere alla domanda da un punto scientifico cosa dice la ricerca in materia?

Vicini vicini
Che esita una correlazione tra freddo e raffreddore, o freddo e influenza, è noto. Il freddo, almeno indirettamente, ci porta a stare più al chiuso, a spendere più tempo vicino ad altre persone. La vicinanza con possibili fonti di contagio rappresenta di per sé un fattore di rischio, aumentando le probabilità di ammalarsi, come ribadiscono da tempo gli esperti: più siamo vicini, più aumenta la possibilità che si venga contagiati, entrando in contatto o respirando la stessa aria contaminata, da qualche microrganismo. Praticare una buona igiene – come lavarsi a dovere le mani o evitare di tenere a lungo quel fazzoletto pieno di muco in tasca – potrebbe aiutare a interrompere la catena dei contagi. Eppure la vicinanza è solo un pezzo del puzzle.

Caldo-freddo, umido-secco: questione di ambiente
Anche le condizioni degli ambienti indoor durante l’inverno potrebbero aumentare le possibilità di ammalarsi. Per esempio, racconta oggi una Q&A sul New York Times, il riscaldamento degli ambienti tenderebbe a ridurre l‘umidità, compromettendo la funzionalità del muco nasale e la sua capacità d combattere i virus.“Sappiamo per esempio che il freddo può bloccare la clearance mucociliare delle vie aeree, un meccanismo di difesa che quando funzionante ci aiuta a proteggerci dall’attacco di patogeni”, ci aveva raccontato in materia Fabrizio Pregliasco all’inizio di quest’ultima stagione influenzale. “Il naso è un filtro, deputato a riscaldare l’aria e a depurarla prima che raggiunga i polmoni, ma si tratta di un filtro che va mantenuto in buono stato. D’inverno alcune condizioni rendono più difficile assicurarne l’efficienza”, conferma a Wired.it Luca Malvezzi, otorinolaringoiatra dell’ospedale Humanitas. “Il freddo abbassa la temperatura della cavità nasale, inibisce la motilità delle ciglia che trasportano il muco e si riduce la capacità di difesa immunitaria della mucosa nasale. Oltre ad avere un naso più fragile siamo più esposti in virtù di un’alimentazione meno virtuosa, meno ricca di frutta e verdura”. Non solo, continua l’esperto, gli shock termici sperimentati d’inverno favoriscono l’irritazione delle vie aeree compromettendone la normale efficienza, ma anche la qualità dell’aria può comprometterla. E ancora: l’umidità, rispetto ad un’aria più secca, aiuterebbe anche i virus a rimanere meno in circolo, decadendo più velocemente, di fatto diminuendo l’infettività delle particelle di aerosol con il virus.

Virus e risposte virali
Se il legame causa effetto freddo-raffreddore/influenza non è del tutto appurato, alcune ricerche hanno indagato anche gli effetti del freddo sui virus e sulle interazioni dei virus con l’ospite. Alcuni ricercatori in passato hanno suggerito per esempio che temperature più basse aiutassero anche i virus a mantenersi più stabili (in particolare rinforzando la loro membrana esterna), e quindi potenzialmente infettivi più a lungo. Uno studio della Yale University invece aveva indagato le capacità del sistema immunitario di contrastare i rhinovirus, gli agenti patogeni del raffreddore comune, scoprendo come le basse temperature indeboliscano la risposta delle nostre difese ai virus. “Temperature più basse – concludevano i ricercatori su Pnas – potrebbero permettere la replicazione dei virus comuni del raffreddore, almeno in parte, diminuendo le risposte immunitarie contro i virus”. L’abbassamento delle temperature in inverno, aveva spiegato lo stesso team in occasioni precedenti, raffredderebbe le vie aeree abbastanza da permettere ai virus di proliferare. I cambiamenti nelle temperature influenzerebbero quindi la risposta immunitaria più che il comportamento del virus, come suggeriscono anche altri studi, anche se di per sé molti rhinovirus, per esempio, amerebbero le basse temperature, trovano un clima più adatto alla loro sopravvivenza nelle più fredde vie superiori.

Ma sarebbe forse da chiedersi, come faceva notare Aaron E.Carroll di nuovo sul New York Times all’uscita di una nuova ricerca sul tema, quanto possa considerarsi freddo un clima con temperatura di 33°C rispetto alle 37°, le temperature usate negli studi in questione. Forse, continuava Carroll, più che provare che il freddo indebolisca il sistema immunitario queste ricerche – per lo più su modelli in vitro, inoltre – potevano spiegare perché i virus colpissero alcune zone del nostro corpo più di altre, come le vie aeree superiori appunto. In quell’occasione Carroll, un debunker in materia di salute, aveva ricordato come per studi che mostravano una ridotta attività del sistema immunitario con il freddo se ne potevano citare altri che invece suggerivano un aumento delle risposte immunitarie con temperature più basse o come l’esposizione al freddo potesse portare di per sé una maggiore attenzione alla sintomatologia.

Più virus, più sintomi
“I virus che causano un raffreddore sono predominanti durante i mesi invernali nelle nostre parti del mondo”, ammette Stan Spinner del Texas Children’s Pediatrics. Senza sorpresa dunque il fatto che ci si ammali, si riportino più sintomi durante l’inverno, avrebbe a che fare con la maggior circolazione degli agenti che causano i malanni, di stagione appunto.“Inoltre l’inverno è il periodo in cui si rimane per più tempo in luogo chiusi, altro fattore che favorisce la replicazione virale”, aggiunge Malvezzi.

La connessione virus in inverno/maggior possibilità di ammalarsi non vale per proprietà transitiva e immediata anche per freddo/maggiore possibilità di malattia. Quando i set sperimentali negli esseri umani hanno provato a cercato conferme, esponendo alcuni volontari al temperature più o meno fredde, osservando la comparsa di sintomi (a volte con inoculazione di agenti infettivi a volte no) i risultati sono stati contrastanti. Più che il freddoi colpevoli andrebbero forse ricercati nel mix di fattori, ambientali, fisiologici, biologici e comportamentali (i nostri in primis) che si combinano quando calano le temperature. Ma in definitiva perché ci si ammali, o si corra il rischio di, serve sempre e soprattutto un solo fattore: aver incontratoil patogeno, sentenzia Spinner. Sulle mani del collega in ufficio, in metro o in fila alla posta poco importa.

Via: Wired.it

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