Categorie: Vita

Perché è utile riconoscere le automobili

Starsene in piedi davanti a una vetrina di un concessionario a fissare le auto forse non diventerà un esercizio mentale consigliato dal medico, ma gli scienziati non escludono un sottile legame tra i patiti dei motori e la predisposizione del cervello al veloce riconoscimento di forme e oggetti. Come spiega uno studio pubblicato su Pnas, l’area cerebrale attivata durante il riconoscimento facciale (Fusiform Face Area, Ffa) avrebbe un ruolo fondamentale anche nel percepire gli oggetti inanimati. Suggerendo anche che chi riconosce un modello di macchina da un semplice parafango potrebbe avere qualche vantaggio in alcune forme di apprendimento.

A indagare sui risvolti cerebrali della passione per le auto è stato il team guidato da Rankin McGugin, neuroscienziata della Vanderbilt University di Nashville, Tennessee. I ricercatori nordamericani volevano capire se l’Ffa – situata nel lobo temporale – fosse davvero alla base di un meccanismo generico di riconoscimento degli oggetti. Il primo passo è stato quello di indagare con uno scanner a risonanza magnetica le reazioni del cervello di 25 volontari a vari stimoli visivi.

Innanzi tutto, il test proposto da McGugin prevedeva di mostrare ai volontari 36 immagini di volti e 36 di oggetti per identificare le aree del cervello “accese” durante le fasi di riconoscimento. I primi risultati dimostravano già che non esiste un’unica area cerebrale deputata interamente a identificare le facce: si tratta, piuttosto, di un’attività diffusa “a macchia” in diverse zone dell’Ffa. Il passo successivo è stato quello di analizzare come cambia la risposta del cervello di fronte a immagini di animali, volti, aerei e, ovviamente, automobili.

Così, ai 25 volontari – di cui 13 erano veri e propri patiti di auto – sono state mostrate diverse serie di 110 immagini ciascuna. I soggetti delle foto comprendevano di tutto: volti maschili e femminili, gatti, tigri, boeing, caccia e modelli di automobili. Ancora una volta, lo scanner a risonanza magnetica registrava quali aree del cervello si attivavano durante i diversi processi di riconoscimento. Ed ecco le prime differenze: mentre animali e aerei vengono percepiti attraverso un approccio che si focalizza su dettagli sparsi, il processo cerebrale che riconosce auto e volti si affida piuttosto a un approccio “olistico” che genera risposte più veloci. 

Non a caso, i cervelli dei 13 esperti di motori erano anche i più abili nel riconoscimento facciale. Quasi come se il loro costante studio – e ammirazione – delle auto avesse affinato i circuiti neuronali che presiedono alla capacità di riconoscere un volto umano con grande velocità. In realtà, gli scienziati non sono ancora certi che i neuroni coinvolti siano gli stessi, ma questa scoperta potrebbe aprire la strada verso nuove tecniche di apprendimento per sviluppare le capacità di osservazione.

Infatti, come suggerisce Isabel Gauthier, neuroscienziata alla Vanderbilt e coautrice dello studio, l’allenamento delle capacità di riconoscimento visivo è una pratica indispensabile: “Aiuta i dottori a leggere le lastre dei raggi-X, i giudici dei concorsi canini a valutare gli animali, le persone a identificare le specie di uccelli o a giocare a scacchi. Ha aiutato anche noi neuroscienziati sui libri di anatomia cerebrale”.

Riferimenti: Pnas doi: 10.1073/pnas.1116333109

Credits immagine: rogiro/Flickr

 

 

Lorenzo Mannella

Si occupa di scienza, internet e innovazione. Laureato in Biotecnologie presso l'Università di Pisa, ha frequentato il master SGP in comunicazione scientifica presso Sapienza Università di Roma. Collabora con Galileo dal 2011. Scrive per Wired, Sapere e L'Espresso.

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