Categorie: Vita

Perché gli umani giocano a baseball, e le scimmie no

Per eliminare i battitori della squadra avversaria, un lanciatore di baseball professionista deve tirare la palla a velocità che sfiorano i 150 chilometri orari. Dietro ogni lancio ci sono anni e anni di duro allenamento, e un piccolo aiuto da parte dell’evoluzione. La capacità di lanciare un oggetto con tanta forza e precisione è infatti un adattamento unico della nostra specie, sviluppato nell’antichità per aiutarci nella caccia. Lo dimostra uno studio della Harvard University, che ha analizzato l’insieme di cambiamenti anatomici che hanno permesso all’essere umano di sviluppare questa capacità. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature, dimostrano che la capacità di lanciare oggetti è stata acquisita al tempo dell’Homo erectus, cioè circa 2 milioni di anni fa, e che è parte di una serie di cambiamenti evolutivi che hanno trasformato gli ominidi in cacciatori bipedi, preparando la strada per l’apparizione dell’Homo Sapiens.

I ricercatori di Harvard hanno iniziato la loro ricerca guardando ai nostri parenti più stretti, ovvero gli scimpanzé. Sebbene lancino spesso oggetti (in molti casi feci) per intimidire o infastidire i loro avversari, i lanci degli scimpanzé non sono né precisi né potenti come quelli della nostra specie. “Le scarse capacità di lancio degli scimpanzé dipendono in larga misura dalla tecnica che usano, e questa è legata strettamente alla loro anatomia”, spiega Halbert Lieberman, professore di scienze biologiche di Harvard che ha coordinato lo studio. “Il movimento che usano è simile a quello con cui si lancia una freccetta, estendendo cioè il gomito, o ancora di più quello con cui si lancia una palla nel cricket, ovvero tenendo il braccio disteso e generando la forza solo con il movimento della spalla”.

Un giocatore di baseball invece lancia in maniera molto diversa. Utilizzando una telecamera 3D, i ricercatori hanno filmato gli atleti della squadra di Harvard durante il lancio di una palla, scoprendo che il segreto è il movimento della spalla, che viene utilizzata in maniera simile ad una fionda. “Quando un essere umano compie un lancio, per prima cosa ruota il braccio all’indietro, in direzione contraria al bersaglio”, spiega Neil Roach, ricercatore della Harvard University e primo autore dello studio. “Durante questa fase i tendini e i legamenti della spalla vengono tesi, e incamerano energia elastica. Quando questa energia viene rilasciata, il braccio viene accelerato in avanti, generando il più veloce movimento possibile per il corpo umano, e producendo di conseguenza un tiro estremamente potente”.

Per comprendere l’origine evolutiva di questi movimenti, i ricercatori hanno utilizzato un metodo chiamato dinamica inversa. Ai giocatori della squadra di baseball di Harvard è stato chiesto di lanciare delle palle indossando speciali imbracature che impedivano loro di compiere determinati movimenti. In questo modo, i ricercatori hanno potuto determinare esattamente quali adattamenti anatomici rendano possibile la nostra capacità di lancio, e sono riusciti collegare questi adattamenti ai cambiamenti che si possono osservare nei fossili degli ominidi.

Dall’analisi è emerso che si tratta di tre adattamenti principali: una rotazione dell’osso della parte alta del braccio (quello tra la spalla e il gomito), un bacino più mobile, e soprattutto, un cambiamento delle ossa della spalla, diventata più mobile e in grado di incamerare una maggiore quantità di energia. Il cambiamento fondamentale, quello della spalla, appare solamente con la nascita dell’Homo erectus, ed è quindi a questo punto dell’albero genealogico degli ominidi che deve essere apparsa la capacità di lanciare oggetti efficacemente, sviluppata probabilmente per migliorare le capacità di caccia.

“Questa capacità è parte di un ristretto numero di cambiamenti evolutivi che ci ha permesso di diventare carnivori, una caratteristica che a sua volta ha innescato tutta una serie di altre modifiche avvenute nel corso dell’evoluzione”, sottolinea Lieberman. “Se non fossimo stati bravi a lanciare o a correre, non avremmo mai sviluppato il grande cervello che ci caratterizza, né tutte le capacità cognitive, come il linguaggio, che da questo derivano. In definitiva, se non fosse per la nostra capacità di lanciare oggetti, oggi non saremmo quel che siamo”.

Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature12267

Credits Immagine: Keith Allison/Flickr

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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