Prioni: ecco gli studi americani

Dall’industria dolciaria a quella cosmetica e farmaceutica, fino ai bovini del Texas, patria della T-bone steak, la superbraciola con l’osso, molti sono i prodotti messi sotto sequestro. L’allarme “mucca pazza” non ha risparmiato nemmeno gli Stati Uniti. E mentre le autorità invitano la popolazione a non farsi prendere dalla psicosi, le associazioni di consumatori chiedono misure preventive. Ma anche sul fronte della ricerca gli Stati Uniti sono all’avanguardia con il National Prion Disease Pathology Surveillance Center, della Case Reserve University di Cleveland, nell’Ohio. Qui si tenta di capire se il consumo di carne o derivati dei bovini malati possa essere la causa della particolare variante della malattia di Creutzfeldt – Jacob (la Cjd, che colpisce l’essere umano) segnalata in Gran Bretagna e che ha fatto scattare l’allarme mucca pazza. E a capo del centro di Cleveland c’è Pierluigi Gambetti, neuropatologo di laurea bolognese, che si è trasferito negli Usa nel 1969. Galileo lo ha intervistato.

Professor Gambetti, si sono registrati casi di “mucca pazza” negli Usa?

“No. Da quanto sappiamo non ce ne sono mai stati. I fattori di rischio negli Stati Uniti sono limitati, perché l’importazione di bovini dal Regno Unito è stata assai ridotta. Quelli importati sono stati messi in quarantena e in seguito tolti dal mercato. Ora la maggior parte degli animali è deceduta e i test effettuati hanno dato sempre esito negativo. Inoltre, non è stata individuata alcuna traccia della nuova variante del morbo di Cjd nei campioni di tessuto cerebrale di individui analizzati dai laboratori del centro. Comunque, il fenomeno della mucca pazza esploso in Europa, qui viene percepito con una certa preoccupazione e sono state prese diverse misure cautelative”.

Per esempio?

“Le limitazioni nelle donazioni di sangue per chi ha soggiornato più di sei mesi in Gran Bretagna e più di dieci anni in Francia e Irlanda. Ma anche la spinta a aumentare i test, che finora riguardavano un numero di animali molto basso. Anche se questi test verranno effettuati con metodi meno sensibili di quelli usati in Europa. Anche le farine animali dei mangimi sono state riesaminate e si è scoperto che, pur non essendo infettate, non sempre venivano prodotte secondo le regole della Food and Drug Administration, (Fda, l’agenzia per la tutela della salute pubblica). Per questo, in Texas sono stati messi in quarantena circa 1200 bovini, nutriti con queste farine. Poi vedremo se verranno testati”.

Che affidabilità hanno i test europei?

“Molto alta, in teoria. Però bisogna considerare le limitazioni poste, in pratica, dalla necessità di contenere i tempi e i costi. Così può succedere che alcuni passaggi vengano ridotti e che si esaminino pochi tessuti, riducendo l’affidabilità del test. È il caso in cui due test successivi danno risultati diversi, come è accaduto in Italia. I test erano identici dal punto di vista teorico, ma uno era fatto in condizioni ideali in laboratorio, l’altro invece era stato fatto presso il macello senza una strumentazione adatta a testare molti animali in poco tempo”.

A parte l’emergenza mucca pazza, che ricerche state effettuando sul morbo di Creutzfeldt-Jakob?

“Abbiamo quattro poli di attività. La prima è il Centro di Sorveglianza per malattie da prione umane che applica i metodi di diagnosi più avanzati a disposizione. Dopo viene la diagnosi: spetta alle analisi stabilire esattamente il tipo di malattia. Uno studio del dottor Parchi, un altro ricercatore italiano che ha lavorato diversi anni nel nostro laboratorio, ha identificato sei sottotipi di malattie da prione. Vi è poi un filone di ricerca in collaborazione col Center for Disease Control and Prevention (Cdc) di Atlanta, un terzo filone, il più cospicuo, è invece sovvenzionato dal National Institute on Aging, una branca del National Institute of Health. Infine abbiamo una quarta attività focalizzata sullo studio di test diagnostici rapidi da effettuare su tessuti più facili da ottenere del tessuto nervoso centrale”.

Che risultati avete ottenuto?

Usando dei modelli cellulari abbiamo mappato la sequenza amminoacidica del frammento della proteina prionica anormale, identificando i frammenti che vengono generati durante una larga varietà di malattie umane e anche animali (soprattutto la malattia da prioni che colpisce i cervi e le alci). Da questi è possibile risalire ai cosiddetti strange, o ceppi di malattie da prioni che riteniamo essere i responsabili dei diversi tipi di malattia. In uno studio successivo, poi, abbiamo osservato come esista una correlazione fra tipo della proteina normale e genotipo del paziente da una parte e tipo di malattia che il paziente avrà dall’altra.

Concretamente cosa significa?

Esistono due tipi di proteina prionica anormale, tipo 1 e tipo 2. Il primo passo è quello di individuare quale tipo di proteina hanno i pazienti. Poi si esamina il genotipo. Cioè si verifica l’amminoacido in posizione 129 del codone. Il codone, infatti, è l’unità operativa del gene, quella che guida la sintesi dei vari amminoacidi. Nella posizione 129, si dà la possibilità di scelta tra due amminoacidi, la metionina e la valina, uno dato dal padre e l’altro dalla madre. Per tutti gli esseri umani di razza caucasica, la scelta è quindi tra due metionine (perché sia il padre che la madre hanno dato un codone che codificava la metionina), oppure metionina-valina o valina-valina. A seconda delle combinazioni presenti nei pazienti e a seconda del tipo di proteina prionica anormale presente nel loro organismo, la malattia di Creutzfeld-Jakob sarà diversa. I pazienti con la malattia di Creutzfeldt-Jacob sporadica hanno due valine alla posizione 129 del gene e poi la proteina di tipo 1. E’ il caso che noi chiamiamo VV1: in questi pazienti la malattia in media inizia all’età di 40 anni. Il paziente più giovane che abbiamo esaminato aveva 24 anni. Ora l’età media d’inizio della malattia di Creutzfeld-Jacob classica che noi chiamiamo MM1 è di 65 anni. E questo elemento è molto importante perché questi pazienti hanno un’età di esordio che si avvicina a quella della nuova variante descritta in Inghilterra e si prestavano quindi a dei falsi allarmi. D’altra parte, abbiamo identificato un gruppo di pazienti che hanno un tipo speciale di Creutzfeld-Jakob sporadica che per una qualche ragione inizia ad un’età più giovane che nei casi che hanno la malattia più comune, quella classica.

Quali conseguenze si possono trarre da questa ricerca?

Posso fare per il momento solo delle ipotesi. Prima di tutto una deduzione: che il gene della proteina prionica determina il tipo della malattia. Questo studio stabilisce che quella variabilità del morbo di Cjd che i medici vedono nei pazienti è dettata in questo caso dal genotipo, ossia è regolata in parte dal complesso genetico del paziente. E questo, pur non spiegando tutta la variabilità, è sicuramente un primo appiglio per la ricerca anche nei confronti dell’ultima variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob.

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