Ecco Borealis, il processore fotonico che ha raggiunto il vantaggio quantistico

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(Foto: Gerd Altmann da Pixabay)

Da 9mila anni a 36 microsecondi. A tanto ammonta l’incredibile balzo in avanti per il computer quantistico permesso da un nuovo processore fotonico messo a punto dagli scienziati di Xanadu Quantum Technology e dei National Institutes of Standard and Technology. Stando a quanto raccontano sulla rivista Nature, infatti, il loro dispositivo, Borealis, sarebbe stato in grado di risolvere un problema computazionale (la cosiddetta boson sampling challenge) in un tempo di gran lunga inferiore a quello necessario ai più potenti supercomputer “tradizionali”. L’impresa è stata salutata come un grande avanzamento nel campo dei computer quantistici e come il raggiungimento del cosiddetto vantaggio quantistico.

Facciamo un passo indietro. Cosa è esattamente un computer quantistico, e in cosa differisce da un computer tradizionale? Il computer quantistico, in sostanza, sfrutta alcune tra le proprietà più bizzarre e controintuitive della meccanica quantistica per ottenere una potenza di calcolo di gran lunga superiore rispetto a quella di un computer (e di un supercomputer) classico. L’unità minima di informazione di un processore convenzionale è il bit, un’entità binaria che può assumere i valori di zero e uno a seconda del passaggio o meno di corrente.


Computer quantistici: una luce laser per migliorarne le prestazioni


Dal canto loro, invece, i processori quantistici usano i qubit, particelle subatomiche come fotoni o elettroni, che invece possono immagazzinare molte più informazioni: nei processori tradizionali infatti i due stati possibili (zero e uno) sono legati al flusso degli elettroni (cioè al passaggio di corrente), mentre in quelli quantistici ogni singolo elettrone trasporta un’informazione, il che amplifica enormemente la potenza di calcolo. Le leggi della meccanica quantistica, infatti, postulano (tra le altre cose) che ogni particella sia soggetta al cosiddetto principio di sovrapposizione, una legge secondo la quale la particella si può trovare contemporaneamente, e con probabilità diverse, in più stati differenti: in virtù di questo principio si può “superare” il dualismo acceso/spento e veicolare molta più informazione, parallelizzando i calcoli e svolgendo così molte più operazioni contemporaneamente.

Borealis raggiunge il vantaggio quantistico

Con questo bagaglio di informazioni in mente, guardiamo cosa hanno fatto i creatori di Borealis. Nel loro esperimento, gli scienziati si sono serviti di una macchina fotonica che usa le particelle di luce (i fotoni, per l’appunto) per rappresentare i qubit, per risolvere la cosiddetta boson sampling challenge, ossia un problema fisico/computazionale in cui si “preparano” dei fasci di luce, li si indirizzano verso una rete di specchi e separatori di fasci e poi si conta quanti fotoni arrivano al rivelatore posto alla fine del “percorso”. Un problema la cui risoluzione non ha alcuna implicazione pratica particolarmente importante, ma che costituisce un ottimo “banco di prova” per testare le prestazioni di un computer. 

Fino a questo momento, si era tentato di risolvere il problema con un numero di fotoni compreso tra 76 e 113; Borealis è riuscito ad arrivare a “contare” ben 219 fotoni, con una media (rispetto a tutte le simulazioni) di 125, in un tempo di 36 microsecondi. Un’impresa che, stando sempre ai calcoli dei ricercatori, un computer tradizionale avrebbe impiegato circa 9mila anni per portare a termine.

Il risultato dell’esperimento mostrerebbe che il computer quantistico in oggetto è in grado di ottenere il cosiddetto vantaggio quantistico, un obiettivo cercato a lungo da chi lavora nel settore. Di cosa si tratta? Sostanzialmente, per vantaggio quantistico si intende la capacità di un processore (quantistico) di superare le prestazioni di un processore classico in un’attività computazionale ben nota e definita. Esattamente ciò che avrebbe fatto Borealis: “Si tratta – spiegano da Xanadu – del primo computer quantistico fotonico completamente programmabile in tutte le sue porte logiche e in grado di ottenere il vantaggio quantistico”.

La strada, comunque, è ancora lunga e tortuosa: “Per avere a disposizione un processore quantistico effettivamente utile – spiega in un editoriale che accompagna il paper Daniel Brod, della Federal Fluminense University di Rio de Janeiro, in Brasile – ossia in grado, per esempio, di eseguire attività legate alla crittografia o alla ricerca di nuove molecole in ambito farmaceutico, servirebbe un computer con milioni di qubit robusti e controllabili. I processori finora realizzati ne hanno meno di 100”.  

Via: Wired.it

Credits immagine: Gerd Altmann da Pixabay