Un po’ scienziati e un po’ pionieri. Fatte le dovute proporzioni, quasi un mix tra Einstein e Buffalo Bill. Gli astronauti che hanno portato a termine l’ultima missione spaziale a bordo dello Shuttle, come tutti i navigatori dello spazio, sono oggi l’emblema dei grandi progetti di esplorazione dell’Universo e delle ricerche scientifiche più avanzate sulla natura della materia. Il comandante Charles J. Precourt, il pilota Dominic L. Gorie e la specialista di missione, la ricercatrice Lynn Kavandi sono in questi giorni in Italia per incontrare il presidente del Consiglio Prodi, ospiti dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), che insieme alla Nasa hanno partecipato alla missione Sts-91. Una missione durata dieci giorni – dal 2 al 12 giugno scorso – particolarmente attesa da molti ricercatori italiani: scopo prioritario del volo era infatti il collaudo dell’Alpha Magnetic Spectrometer (Ams), lo strumento messo a punto per intercettare tracce di antimateria e indagare sulla natura della massa oscura nell’Universo, e in gran parte realizzato nei laboratori del nostro paese. Galileo ha intervistato i tre astronauti.
“Vista da lassù, la Terra appare fragile e preziosa. E’ una sensazione che non potrò mai scordare”. Dominic L. Gorie, comandante della marina degli Stati Uniti, così descrive le sue emozioni come pilota dello Shuttle. Per un ufficiale come lui, che ha partecipato alla Guerra del Golfo e ha al suo attivo numerose missioni militari e atterraggi su portaerei, è un’affermazione singolare. “Ricordo con commozione l’incontro con i colleghi russi in orbita a bordo della stazione spaziale Mir: dopo che per anni mi avevano insegnato a combatterli, mi ritrovavo ad avere un obiettivo in comune con loro, a centinaia di chilometri dalla Terra”. “Anche per me l’aggancio con la Mir resta l’emozione più intensa”, ricorda Lynn Kavandi, Phd in chimica, una lunga esperienza nella compagnia aerospaziale Boeing, astronauta della Nasa dal 1994, con 235 ore di volo nello spazio al suo attivo. “Certo, vedere le nuvole e l’ombra della luna dai finestrini della navicella spaziale è uno spettacolo incredibile, ma quella ‘stanza’ dove abbiamo cenato e suonato la chitarra insieme agli astronauti russi, ricreando la stessa atmosfera di una serata fra amici, non la dimenticherò mai più”.
Ma, ovviamente, il viaggio nello spazio non è solo un’incredibile esperienza esistenziale. Sono in gioco esperimenti scientifici di estrema raffinatezza, frutto di anni di studi da parte di istituti di ricerca di più nazioni, insieme a competenze specifiche altamente specializzate. Si potrebbe quasi dire che gli esperimenti condotti nel cosmo godano di una condizione particolarmente fortunata: stanno a metà tra le ricerche della Big science, quella dei grandi progetti in cui il singolo ricercatore ha un ruolo totalmente parcellizzato, e la Small science, dove ogni scienziato ha un rapporto diretto con la ricerca in corso. Infatti, anche nei test che richiedono l’uso di macchinari sofisticatissimi, a bordo esiste sempre l’interfaccia umana, come succedeva nella ricerca scientifica “vecchio stile”, quando ogni scienziato era allo stesso tempo capace di modificare il suo strumento, fare misurazioni e estrapolare i risultati teorici. Oggi, per esempio, ogni scienziato che va in missione spaziale è anche un’astronauta, e in questo senso contribuisce “a tutto tondo” al buon esito della missione.
“Non si può negare le navicelle spaziali assomigliano sempre di più a laboratori di ricerca in astrofisica, e che lo spirito delle missioni spaziali nel corso del tempo è cambiato”, riconosce Charles J. Precourt, colonnello dell’Aeronautica degli Stati Uniti e comandante della missione Sts-91. “Ma tengo a precisare che per portare gli strumenti nello spazio, farli funzionare con successo e ritornare sulla Terra senza incidenti bisogna avere una formazione specifica, essere astronauti a tutti gli effetti”. “E’ vero che, a differenza che nel passato, anche i piloti partecipano spesso ad alcune osservazioni e al monitoraggio degli esperimenti, e dunque, in qualche modo è richiesta una formazione scientifica ad ogni membro dell’equipaggio. Ma per il buon esito di una missione occorrono competenze altamente specializzate. Ci vogliono da un lato scienziati esperti nella gestione del carico utile, dall’altra astronauti capaci di guidare il veicolo spaziale. Del resto, nello spazio ogni minuto è prezioso, e tutto deve avvenire all’insegna della massima efficienza. Per questo motivo, il tempo per guardare dal finestrino e godere dello spettacolo che si apre intorno a noi, di solito lo rubiamo alle ore di sonno”.