Può un’alga salvare Fukushima?

Circa 15 mila tonnellate di acqua radioattiva potrebbero essere presto riversate nell’Oceano Pacifico. Lo ha dichiarato il portavoce della Tepco, la società che gestisce l’impianto di Fukushima, almeno secondo la Jiji Press: “Non abbiamo altra scelta che riversare l’acqua radioattiva nell’oceano come misura di sicurezza”. Sembra infatti che questa mossa permetterebbe di far posto nei depositi ad acqua ancora più radioattiva, ovvero quella che sta spillando dalla crepa del reattore numero due della centrale, formatasi sabato scorso. Crepa che i tecnici giapponesi non sono riusciti a chiudere.

Sempre più fondamentali appaiono dunque quelle ricerche incentrate su eventuali contromisure per rimuovere le scorie radioattive dall’ambiente. Come quella sull’alga Closterium moniliferum presentata da Minna Krejci, della Northwestern University di Evanston, in Illinois, la scorsa settimana al meeting dell’American Chemical Society in Anaheim, California, e pubblicato su ChemSusChem.

Insieme al suo gruppo di ricerca, infatti, Krejci ha mostrato che oltre alla sua forma curiosa, di spicchio di luna crescente, questo microrganismo ha una proprietà molto interessante: è in grado di rimuovere lo stronzio – compreso il suo isotopo radioattivo, lo stronzio 90, che è uno dei residui dei reattori nucleari – dall’acqua, depositandolo in cristalli all’interno di particolari strutture cellulari chiamate vacuoli.

Lo stronzio ha un’emivita di circa 30 anni ed è capace di infiltrarsi nel latte, nelle ossa, nel midollo osseo, nel sangue e in altri tessuti dove la radiazione emessa può avere azione cancerogena. Questo elemento è molto simile in proprietà e dimensioni al calcio (normalmente presente nei rifiuti dei reattori in quantità fino a dieci miliardi più alte rispetto allo stronzio) rendendo difficile durante i processi biologici separare i due elementi e sequestrare uno o l’altro selettivamente. E qui entra in gioco C.moniliferum.

Secondo quando raccontato nella ricerca statunitense, l’alga raccoglie al suo interno preferibilmente atomi di un altro elemento chimico, il bario. Tuttavia lo stronzio, in quanto a dimensioni e proprietà, è una perfetta via di mezzo tra calcio e bario e viene quindi cristallizzato dall’alga tanto bene quanto quest’ultimo. Cosa che invece non avviene con il calcio che, sebbene più presente, è abbastanza differente rispetto al bario, tanto da non suscitare l’interesse del C. moniliferum.

La funzione dei cristalli all’interno del microrganismo non è ancora chiara e la loro formazione sembra essere la conseguenza di un’alta concentrazione di soluzioni contenenti solfati nei vacuoli. In queste soluzioni, infatti, bario e stronzio non sono solubili e quindi precipitano sottoforma di cristalli.

La parte più interessante dello studio, tuttavia, è quella che mostra la possibilità di incrementare l’accumulo di stronzio da parte dell’alga seminando piccole quantità di bario nei depositi delle scorie o nei siti delle fuoriuscite accidentali. Inoltre, secondo Krejci, potrebbe essere possibile migliorare il processo anche ritoccando i livelli di solfati nell’ambiente. “Una volta capito meglio come le cellule rispondo alle variazioni di condizioni potremo facilmente trovare metodi più eleganti per manipolarle”, ha commentato la ricercatrice.

Gli scienziati non hanno ancora sperimentato la capacità delle alghe di sopravvivere in ambienti radioattivi, ma anche se non dovessero dimostrare una particolare sopravvivenza questo non sarebbe un grande problema. Infatti, vivrebbero comunque abbastanza per rimuovere parzialmente lo stronzio in quanto i cristalli precipitano nella cellula in circa trenta minuti- un’ora. Inoltre, sono alghe molto semplici da coltivare e quindi si potrebbero facilmente sostituire, anche molto spesso.

Riferimenti: wired.it

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