Quanto sono costanti le costanti?

Accostare il verbo “variare” al sostantivo “costante” potrebbe sembrare un ossimoro, ma in realtà non lo è. Almeno dal punto di vista della fisica delle particelle, la cui teoria principale, il Modello Standard, fa riferimento a una serie di grandezze fondamentali (velocità della luce nel vuoto, costante di Planck, massa dell’elettrone, massa del protone, tanto per citarne alcune) note ormai con estrema precisione. Quello che la teoria finora non spiega, però, è perché le costanti abbiano proprio quei valori, e soprattutto se questi possano cambiare nel tempo e nello spazio. In altre parole: oggi sappiamo, per esempio, che il rapporto μ tra massa del protone e dell’elettrone vale circa 1836, ma è stato sempre così?

Gli scienziati del Dipartimento di Fisica e Astronomia della VU University Amsterdam, coordinati da Julija Bagdonaite,hanno trovato una prima risposta a questa domanda, misurando sperimentalmente quanto vale μ oggi, nel loro laboratorio, e quanto valeva sette milioni di anni fa nella lontana galassia PKS1830-211. I risultati delle osservazioni sono perfettamente consistenti: dunque, la costante è davvero costante, cioè in sostanza non è mai variata. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Science.

Come è stato possibile guardare indietro nel tempo? Sfruttando le immense distanze astronomiche e il fatto che la velocità della luce è finita. Osservare la radiazione proveniente da un astro che dista sette milioni di anni luce, infatti, equivale a guardare quello che stava succedendo in quel punto sette milioni di anni fa, perché tanto è il tempo che la radiazione ha impiegato per arrivare fino alla Terra. Ecco perché ai ricercatori, per stimare il valore di μ nel passato, è bastato osservare lo spettro proveniente da una galassia lontana. La sfida, adesso, potrebbe essere quella di investigare la variabilità temporale delle altre grandezze fondamentali. Se anche queste dovessero rivelarsi immutabili, la parola “costante” acquisterà un significato ancora più profondo.

Riferimenti: Science doi:10.1126/science.1224898

Credits immagine: eriwst/Flickr

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