Quegli ostacoli alla ricerca

Si è tenuta il sei e il sette aprile a Milano la conferenza internazionale “Advances in Stem Cell Research”. L’incontro, che ha visto la partecipazione di oltre quattrocento persone, è stata la prima uscita pubblica del consorzio internazionale EuroStemCell, finanziato dal Sesto Programma Quadro dell’Unione Europea con uno stanziamento di quasi 12 milioni di euro. Padrona di casa è stata Elena Cattaneo, direttrice del Laboratorio di ricerca sulle cellule staminali e di farmacologia per le malattie neurodegenerative dell’Università Statale di Milano, che rappresenta uno dei due poli italiani presenti nel consorzio internazionale. L’altro è il laboratorio di Giulio Cossu al San Raffaele di Milano. Insieme a loro ci sono altre 12 istituzioni europee, tra cui delle aziende private che sulle cellule staminali stanno costruendo un successo commerciale grazie alla produzione di linee cellulari di qualità garantita e alla manipolazione di campioni biologici su commissione.La conferenza ha lasciato più domande che risposte: i tanti interventi hanno offerto però una panoramica sullo stato dell’arte in questo campo, dando l’idea della complessità dell’argomento ma anche delle possibili prospettive terapeutiche. Diversi gruppi di ricerca stanno già lavorando infatti sull’applicazione clinica delle cellule staminali, in particolare per curare il morbo di Parkinson e per il diabete, malattie degenerative in cui il potenziale ricambio offerto dalle cellule staminali sembra in grado di riportare l’organo all’efficienza. Daniel Pipeleers, del Diabete Research Centre di Bruxelles, ha illustrato le possibilità di condurre le staminali a diventare cellule beta del pancreas, ristabilendo così la normale produzione di insulina da parte dell’organismo. Tuttavia vi sono ancora numerose difficoltà – comuni a tutto l’ambito della medicina rigenerativa – tra cui la scarsità di cellule staminali disponibili. A questo riguardo, Pipeleers ha fatto notare che le staminali prelevate da feti abortiti possono essere per ora fatte crescere in vitro solo per pochi cicli. Dunque, numerosi feti sono necessari per curare un solo paziente. Risultati migliori sono invece possibili con le staminali ottenute da embrioni, capaci di replicarsi e differenziarsi per molti cicli di crescita. La differenza sta – ha spiegato Pipeleers – nella diversa esposizione a segnali interni all’organismo, che rende le cellule staminali fetali “più vecchie” rispetto alle embrionali, come se avessero oltrepassato una soglia. Lo stesso fenomeno è stato riportato dallo svedese Anders Bjorklund dell’Università di Lund, che lavora per la cura del Parkinson.E’ questo infatti uno dei temi caldi del dibattito bioetico: l’uso di embrioni per la ricerca. Luca Coscioni e i portavoce delle associazioni di pazienti, che vedono nelle staminali una speranza per il futuro, hanno sottolineato l’importanza di perseguire le ricerche ad ampio spettro, così da assicurarsi che non rimanga nulla di intentato. È in questo quadro che si inserisce anche il referendum abrogativo sulla legge 40, che vieta di fatto la ricerca sulle cellule staminali embrionali. D’altra parte, la ricerca italiana vive una situazione paradossale: chi vuole fare ricerca nel nostro paese sulle staminali embrionali, non può derivare nuove linee cellulari da embrioni sovrannumerari, ma le può acquistare all’estero. Se lo fa, non ha però accesso ai finanziamenti della commissione ministeriale sulle staminali. Tuttavia, lo stesso gruppo di ricerca può accedere a fondi dell’Unione Europea, cui contribuisce anche l’Italia. I temi etici sono sicuramente importanti in quest’ambito: anche nel corso della conferenza una sessione è stata dedicata ai problemi morali e sociali suscitati dalla ricerca sulle staminali. Tuttavia, prevale, almeno in Italia, un atteggiamento di chiusura (che Demetrio Neri dell’Università di Messina ha ben ricostruito nel suo intervento, di fronte a una platea internazionale sbigottita) dettato da opportunità politiche più che da vero fervore religioso.

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