I farmaci impiegati contro i sintomi del morbo di Alzheimer, gli inibitori delle colinesterasi, sono inefficaci nel ritardare la comparsa della malattia. Lo ha dimostrato una revisione sistematica di tutti gli studi clinici disponibili, compiuta da Roberto Raschetti e dai suoi colleghi del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto superiore di Sanità (Iss), pubblicata su Plos Medicine.
“Le indicazioni per cui è autorizzato l’uso di questi farmaci sono il trattamento dei sintomi dell’Alzheimer lieve e moderato” spiega Raschetti. “Sebbene recenti studi abbiano messo in discussione la loro efficacia persino in questi casi, diversi specialisti e associazioni di pazienti raccomandano e reclamano il loro utilizzo ‘off label’, cioè al di fuori delle indicazioni registrate, per la prevenzione della demenza di Alzheimer in soggetti con deficit cognitivo lieve. Solo in Italia, il 27 per cento dei pazienti con la cosiddetta Mic (Mild cognitive impairment), una condizione intermedia tra l’invecchiamento e la demenza caratterizzata da deficit di memoria, è sotto trattamento farmacologico”.
I ricercatori hanno analizzato gli studi clinici randomizzati e “in doppio cieco”, in cui, cioè, ai pazienti con Mic erano assegnati a caso il farmaco o il placebo. Su 157 studi presi in considerazione, ne sono stati poi selezionati 8: tre sul donepezil, due sulla rivastigmina, tre sulla galantamina. In nessuno di essi è emersa una differenza statisticamente significativa rispetto al placebo nel prevenire il passaggio da Mic ad altre forme di demenza più gravi (tra cui il morbo di Alzheimer). Registrati invece alcuni effetti collaterali, prevalentemente a carico dell’apparato cardiovascolare e gastroenterico e, nell’unico studio che registrava i dati sulla mortalità, sei sono stati i decessi tra chi era in trattamento con galantamina rispetto a un solo caso tra chi assumeva il placebo.
“L’uso degli inibitori delle colinesterasi per ritardare l’esordio delle demenze in pazienti con Mic, visto il rapporto rischio-beneficio, non è giustificato” conclude Raschetti. Serviranno, però, ulteriori studi, dopo una definizione puntuale di cosa si intenda per Mic: non c’è infatti accordo sui criteri per diagnosticarla, né sulla classificazione come fattore di rischio o patologia a sé stante. Le persone con Mic sono considerate ad alto rischio di sviluppare l’Alzheimer, tuttavia, in molti casi, la sindrome regredisce spontaneamente. Il problema delle demenze è però preponderante in termini di sanità pubblica: in Italia si stima un’incidenza di 38 nuovi casi all’anno ogni mille persone. Nei paesi dell’Europa Occidentale, ci si dovrà aspettare un incremento del 43 per cento entro il 2020, del 100 per cento entro il 2040. (mi.m.)