Quel che resta dell’acqua

    Ottenere idrogeno da utilizzare come carburante dall’acqua, con un sistema efficiente, economico e decisamente ecologico. Ci sono riusciti Matteo Ceppatelli e gli altri ricercatori dello European Laboratory for Non-Linear Spectroscopy dell’Università di Firenze, che aprono la strada a una attraente alternativa ai sistemi utilizzati oggi.

    In realtà il sistema, spiegato su Pnas di questa settimana, è stato messo a punto per far reagire tra loro elementi  molto inerti, come l’azoto e il monossido di carbonio. Il prodotto secondario di questo processo, però, è tutt’altro che da scartare.

    “Quello che facciamo è lavorare in condizioni di pressione elevate (circa mille atmosfere, ndr.) per portare le molecole tanto vicine tra loro da indurle a reagire”, spiega a Galileo Roberto Bini, coordinatore dello studio. “Abbiamo già studiato in questo modo moltissime reazioni di polimerizzazione, senza utilizzare alcuna sostanza chimica intermediaria. Questo significa non avere sostanze da dover trattare o smaltire”.

    In effetti, il sistema ricorre soltanto a intermediari fisici, pressione e luce: una volta compattate, le molecole vengono colpite con un fasci laser e cambiamo la loro geometria, diventando ancora più reattive.

    “In particolare, in questo studio abbiamo fatto una cosa un po’ diversa”, continua Bini: “Per convincere l’azoto – che è moto inerte – a reagire, abbiamo pensato di usare l’acqua come una sorta di miccia”. Una volta che la molecola di acqua viene spezzata dalla luce ultravioletta, si viene a creare atomi idrogeno (H) e radicali (HO-). In natura questi due pezzetti si ricombinano in una frazione di secondo per ridare l’acqua. Ma a pressioni di circa un migliaio di atmosfere si guadagna abbastanza tempo per indurre HO- a combinarsi anche con le altre molecole presenti. L’“effetto collaterale” positivo, è che gli atomi H in eccesso si uniscono tra loro per dare la molecola di idrogeno (H2).

    Perché è interessante? “Abbiamo lavorato con molecole difficili, non le più idonee per produrre idrogeno, ma abbiamo dimostrato che è possibile utilizzare questo tipo di processo per produrre idrogeno. L’industria chimica già lavora a queste pressioni e, ipoteticamente, potrebbe usare anche la luce solare al posto del laser”, risponde il ricercatore.

    Certamente l’idea va testata, ma ha il suo fascino. Attualmente, infatti, il 95-96 per cento dell’idrogeno utilizzato come vettore energetico proviene da fonti non rinnovabili (idrocarburi e fossili). In questo caso invece, servirebbe solo acqua e il processo sarebbe più efficiente dell’idrolisi (il noto sistema utilizzato dai chimici per scindere l’acqua e ottenere H2), che costa tre volte l’energia che l’idrogeno prodotto riesce poi a trasportare.

    Lo studio fa parte del progetto Firenze Hydrolab finanziato dalla Cassa di Risparmio di Firenze, che ha riunito più laboratori dell’area fiorentina per mettere a punto nuovi sistemi di sintesi, stoccaggio e trasporto dell’idrogeno. (t.m.)

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