Quel pesce modello

Dagli acquari casalinghi ai laboratori di tutto il mondo: un pesciolino lungo pochi centimetri sta soppiantando le tradizionali cavie nelle indagini genetiche e negli studi pre-clinici di numerose malattie. È Danio rerio, meglio noto ai ricercatori come “zebrafish”, un’osteitta d’acqua dolce originario dell’India orientale. E proprio in quest’organismo un team di ricercatori di Boston, del Massachussets Institute of Technology e della Tuft University, ha recentemente individuato un nuovo gruppo di geni associati alla formazione di tumori. Sono i geni che codificano per alcune proteine ribosomali, le sostanze cioè che intervengono nell’assemblaggio dei corpuscoli responsabili della produzione delle proteine, i ribosomi appunto. I risultati dello studio suggeriscono una stretta connessione tra l’insorgenza di tumori nell’animale e le mutazioni eterozigotiche (ossia alterazioni geniche che interessano soltanto uno dei due alleli di un gene) rilevate in 11 diversi geni ribosomali. Questi stessi geni ribosomali potrebbero avere un ruolo fondamentale anche nello sviluppo di tumori negli esseri umani. Se l’ipotesi trovasse conferma, il controllo dei livelli o di una specifica attività delle proteine ribosomali nell’organismo potrebbe rappresentare una spia che segnala la presenza di un tumore.Lo zebrafish si dimostra quindi un modello sperimentale valido per lo studio della genesi di organi e malattie. Tanto che l’Unione Europea ha stanziato 12 milioni di euro nell’ambito del Sesto Programma Quadro per il progetto integrato “Zebrafish Models for Human Development and Disease” che vede coinvolta, in Italia, l’Università di Padova e il team di Francesco Argenton. “Sfruttando pienamente le potenzialità di quest’organismo sarà possibile vagliare su larga scala una grande quantità di sostanze chimiche e individuare nuovi target farmaceutici in grado di recuperare alcuni difetti genetici o individuare anomalie genetiche che possano attenuare la gravità di un altro difetto o, ancora, scoprire nuovi geni che abbiano un’importanza fondamentale in processi cellulari” afferma il ricercatore che da anni utilizza questo pesce nei suoi studi. Lo zebrafish è, secondo Argenton, una “killer application” della biologia, un’applicazione cioè destinata a sostituire rapidamente le tecniche tradizionalmente impiegate negli studi di espressione genica. “Così come con i microarrays può essere rilevata l’espressione in una stessa cellula di un vasto numero di geni, utilizzando lo zebrafish è possibile studiare contemporaneamente tutte le cellule in cui un determinato gene viene espresso” spiega Argenton. Più semplice da allevare e assai meno costoso dei tradizionali animali da laboratorio, questo piccolo pesce zebrato presenta un profilo genetico molto simile a quello dell’essere umano, con circa il 96 per cento di omologia. “La sua elevata prolificità, la trasparenza dei suoi embrioni, che si sviluppano al di fuori del corpo materno, e l’estrema rapidità dello sviluppo (passa dallo stadio di uovo a quello di embrione maturo in sole 24 ore) lo rendono un modello ideale per l’osservazione della formazione degli organi e dei sistemi” osserva ancora Argenton. I suoi organi e tessuti sono del tutto simili a quelli dei mammiferi e “con semplici manipolazioni genetiche è possibile osservare agevolmente lo sviluppo di singoli organi e studiare contemporaneamente l’effetto di molti geni su questo processo” aggiunge il ricercatore, “tutto questo in vivo, sotto la lente di un microscopio, senza necessità di sacrificare l’animale. Questo è assolutamente impossibile con gli embrioni di un mammifero”. Utilizzando individui mutati in grado di esprimere proteine fluorescenti in determinate cellule o tessuti l’osservazione viene ulteriormente agevolata, con la possibilità di seguire lo sviluppo di singole cellule e singoli neuroni. Grazie a questo sistema modello è stato possibile studiare la formazione di diversi organi e il metabolismo lipidico, e soprattutto numerose patologie, come leucemia e altre malattie del sangue, diabete, distrofia muscolare e malattie neurodegenerative. Attraverso tecniche di knock-out o silenziamento genico può essere inibita l’attività di geni specifici coinvolti in gravi patologie dell’essere umano ottenendo così un modello animale della malattia particolarmente versatile. “Utilizzando lo zebrafish come organismo modello noi abbiamo potuto studiare lo sviluppo pancreatico e l’origine delle cellule beta, responsabili della produzione di insulina, e abbiamo rilevato che il processo rispecchia quello dei mammiferi” ricorda Argenton. Proprio la comprensione dei meccanismi attraverso i quali le cellule staminali si trasformano in cellule mature produttrici di insulina rappresenta un passo fondamentale nella strada verso l’autotrapianto.”Ora stiamo studiando i meccanismi di determinazione del destino cellulare nel sistema nervoso” conclude il ricercatore.

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