La disponibilità del petrolio dipende, ovvio, dall’efficienza della sua estrazione. E per aumentarla sembra bastare un po’ di acqua di mare “modificata”: una particolare miscela faciliterebbe il prelievo dell’oro nero dalle rocce calcaree, fino a un massimo del 60 per cento. Lo dicono i ricercatori dell’Università di Stavanger (Norvegia) in uno studio su Energy and Fuels (qui il link all’articolo).
Più del 50 per cento delle riserve petrolifere mondiali (miliardi di litri) è intrappolata in pozzi di roccia composti di carbonato di calcio, per esempio calcare e gesso. Non tutto il petrolio presente in queste rocce potrà essere estratto – per questo si parla di efficienza. Ma esistono delle tecniche, chiamate di “enhanced oil recovery” (recupero migliorato di petrolio), che spesso facilitano il processo. Per il gesso, si irriga la roccia con semplice acqua di mare. Per il calcare, invece, finora non c’era soluzione e l’efficienza dell’estrazione arrivava fino a un massimo del 30 per cento, ma in alcuni casi inferiore al 5 per cento.
Per ottenere una maggiore efficienza, gli scienziati norvegesi hanno immerso alcuni campioni di rocce calcaree provenienti dal Medio Oriente nel greggio per diverse settimane, quindi li hanno irrigati con una nuova miscela, formata da acqua marina e solfati. Le prove di laboratorio hanno dimostrato che estrarre il petrolio da queste rocce può essere, in queste condizioni, molto più vantaggioso e che si può arrivare anche al 60 per cento di efficienza. Questo processo, come accade già per il gesso, dipenderebbe da un cambiamento nell’equilibrio termodinamico della roccia. (a.g.)
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