Quel ragno è un “virus-promoter”

La sua presenza nell’organismo umano è associata al Sarcoma di Kaposi, un tumore della pelle che colpisce il corpo quando il sistema immunitario è particolarmente debole. È l’herpes virus umano 8 (Hhv8), scoperto nel 1994 e diffuso in Occidente fra sieropositivi e malati di Aids, proprio come la forma di cancro a cui si accompagna, e per questo denominato anche Kshv (herpes virus associato al sarcoma di Kaposi). Si tratta di un virus per molti versi ancora misterioso. Perché il modo in cui si trasmette non sembra essere lo stesso in tutte le parti del mondo. Se infatti negli Stati Uniti e in Europa aumentano i casi di infezione nei pazienti affetti da Hiv, facendo ipotizzare una trasmissione per via sessuale, nei Paesi in via di sviluppo a esserne colpiti sono soprattutto i bambini. Ma ora, grazie a Mario Coluzzi, direttore dell’Istituto di Parassitologia dell’Università “La Sapienza” di Roma, il mistero appare in parte svelato. Secondo uno studio presentato oggi al Congresso nazionale di Parassitologia che si svolge a Grugliasco (Torino), il virus arriva al figlio attraverso la saliva della madre che, a seguito di una puntura di un ragno, per esempio, disinfetta la zona colpita con un succhiotto.In particolare quindi sarebbe il “morso” di un artropode – non solo ragni ma anche alcuni insetti e crostacei – il fattore scatenante dell’infezione rimasto finora sconosciuto. E questo spiegherebbe la trasmissione verticale, da madre a figlio, tipica di alcuni Paesi. “Il virus non è iniettato dall’animale”, spiega Coluzzi, “ma la puntura crea un ambiente favorevole all’infezione”. La zona colpita diventa immunodepressa, il sistema immunitario cioè è poco reattivo. Permettendo al virus, una volta che questo viene trasmesso attraverso la saliva della madre o di un altra persona, di duplicarsi e nascondersi nelle cellule. “Per poi riprendere forza non appena l’organismo non sperimenta una fase di debolezza immunologica, per esempio quando è colpito da Hiv e da Sarcoma di Kaposi”, va avanti Coluzzi. L’artropode quindi prepara il terreno alla successiva infezione, una specialità che gli è valsa la qualifica di “promotore”. “E’ questa una nuova categoria individuata proprio dal nostro studio, caratterizzata dalla capacità di indurre nell’ospite una risposta duratura e una immunodepressione localizzata dovuta alle sostanze presente nella saliva”, spiega il ricercatore. Lo studio del genoma dell’Hhv, recentemente sequenziato, ha inoltre permesso di mettere in evidenza la sua estrema variabilità: il virus cioè si è adattato ai micro-ambienti immonodepressivi che i diversi artropodi tipici di differenti aree geografiche creano con la loro saliva. Alle sue conclusioni Coluzzi è arrivato sulla base di una revisione critica di tutti gli studi condotti sull’Hhv8 e Ks, e sulla distribuzione geografica delle infezioni. La percentuale di sieropositività di questo virus è infatti piuttosto scarsa nei Paesi occidentali se si fa eccezione per la popolazione omossesuale maschile, mentre nelle zone centrali dell’Africa ne è colpito un residente su due. Nelle zone endemiche poi si arriva anche al 70 per cento. In particolare il gruppo italiano è stato sollecitato da alcuni scienziati inglesi che avevano notato quanto le persone che avessero vissuto per lunghi periodi in Paesi in via di sviluppo o che fossero originarie di quelle zone, anche una volta stabilite in Gran Bretagna, fossero più inclini a sviluppare il sarcoma. “All’inizio si è pensato a un coinvolgimento del vettore della malaria”, conclude il parassitologo. “Poi è stato chiaro che quel particolare insetto non era coinvolto”. Piuttosto a giocare un ruolo chiave sono le abitudini delle popolazioni che in quelle zone vivono, comportamenti radicati nella cultura. In zone dove l’acqua è scarsa, la saliva è infatti un efficace disinfettante. L’aver messo in luce questo meccanismo che mette in relazione l’ambiente in cui l’infezione si sviluppa con la biologia e la genetica dei micorganismi potrà in futuro aprire nuove strade anche per lo studio di altri virus (specialmente quello dell’Epatite B) che potrebbero utilizzare la stessa via di trasmissione non sessuale.

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