Quel tic tac nel cervello

Non uno, ma più orologi biologici, asincroni, cioè tarati su diversi “fusi”, nel cervello umano. Ciascuno dedicato a un singolo stimolo e a una specifica zona dello spazio. È l’immagine scelta dai ricercatori dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano per spiegare perché a volte ci sembra che la percezione dello scorrere del tempo non corrisponda alle lancette dell’orologio, ma dipenda anche da dove guardiamo.

L’esperimento, condotto in collaborazione con la University of Western Australia, l’Università di Firenze e il Cnr di Pisa, e pubblicato su Nature Neuroscience, è stato condotto su alcuni soggetti monitorati mentre guardavano delle barre bianche e nere che si muovevano velocemente in una piccola finestra circolare. Dopo pochi secondi l’osservatore doveva giudicare per quanto tempo un’altra figura rimanesse nella stessa posizione all’interno della finestra. Dopo un certo numero di apparizioni e scomparse della barra nella stessa posizione, il soggetto aveva la percezione che l’intervallo fosse sempre più breve.

Questo fenomeno dell’adattamento, per cui dopo una prolungata stimolazione il cervello si adatta allo stimolo e diventa meno reattivo ad esso, era già noto per l’olfatto e la vista. Ma non per il senso del tempo. Né si riteneva che questo fosse legato alla posizione della barra nello schermo: se l’immagine compariva in altre parti del campo visivo, infatti, il soggetto aveva una percezione della durata del fenomeno “corretta” cioè simile a quella dell’orologio, indipendentemente dalla direzione dello sguardo del soggetto. “Se il cervello dell’uomo lavora con tanti orologi asincroni – sottolinea Maria Concetta Morrone, professoressa di Psicologia Fisiologica Avanzata dell’ateneo milanese e coordinatrice dello studio – perché non costruire computer funzionanti con lo stesso schema? Copiare questo modello potrebbe permetterci di costruire computer, reti di computer e sensori più potenti e “intelligenti”, in grado di assolvere a quelle funzioni che con un solo “orologio” le macchine non riescono ancora ad assolvere”. (e.m.)

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