Quella cometa piovuta su Giove 300 anni fa

Che le prove dell’impatto di una cometa con un pianeta provengano dai documenti ammuffiti di un archivio, anziché dai sofisticati telescopi a terra o montati sui satelliti, è piuttosto insolito. Invece sembra proprio la prova della collisione di una cometa con Giove quella che ha ritrovato Isshi Tanabe, astronomo dilettante giapponese, spulciando nella biblioteca dell’Osservatorio astronomico di Parigi. Data dell’impatto: dal 5 al 23 dicembre 1690. Unico testimone: Gian Domenico Cassini, famoso astronomo di origine italiana, che riportò accuratamente i disegni delle sue osservazioni nel libro “Nuove scoperte nel globo di Giove”. Trecento anni prima della Shoemaker-Levy 9, un’altra cometa aveva dunque bombardato il grande pianeta gassoso.

Quando nel 1994 i frammenti della Shoemaker-Levy 9 iniziarono il loro pirotecnico bombardamento di Giove, gli astronomi lo definirono “l’evento più spettacolare del secolo”. Da allora molti appassionati hanno cercato negli archivi degli osservatori le tracce di possibili collisioni passate. Tuttavia, prima del ritrovamento di Tanabe, tutte le osservazioni esaminate mancavano dei dettagli e della precisione necessaria. Ma i disegni di Cassini sono una prova più che convincente.

Nel 1690 Gian Domenico Cassini dirigeva l’Osservatorio astronomico di Parigi, un incarico affidatogli dal “Re Sole” Luigi XIV in persona. Osservando Giove con il suo telescopio, uno dei più potenti dell’epoca, il grande astronomo notò la comparsa di una macchia scura sul disco del pianeta e la disegnò su i suoi appunti. In base ai disegni di Cassini, Junichi Watanabe, che nel ‘94 coordinò le osservazioni della Shoemaker-Levy all’Osservatorio di Okayama, in Giappone, ha stimato che le dimensioni della macchia corrispondono a un diametro reale di circa 7500 chilometri. Il fatto più convincente è che Cassini ha seguito, e disegnato, l’evoluzione della macchia per ben 18 giorni. E le caratteristiche dell’evento assomigliano in tutto e per tutto agli impatti di alcuni dei frammenti della Shoemaker-Levy, osservati con ben altri mezzi e ben altra pubblicità.

Per confermare la loro ricostruzione i giapponesi hanno effettuato una simulazione al calcolatore. Ipotizzando che la macchia fosse dovuta ai frammenti dell’impatto, i ricercatori hanno calcolato l’evoluzione della sua forma e delle dimensioni provocata dai venti su Giove. Effettivamente tutto corrisponde a quanto disegnato da Cassini. Insomma, pare proprio che nel dicembre del 1690 Giove sia stato colpito da un singolo oggetto di dimensioni simili ai frammenti A, C o E della Shoemaker-Levy.

Oltre all’interesse storico-scientifico, la scoperta di Tabe riporta in primo piano l’interesse degli archivi come fonte di preziose informazioni per i ricercatori, anche dopo secoli da un evento. Troppo spesso, soprattutto nel nostro paese, la cura della documentazione storica dei laboratori è affidata più all’iniziativa e alla buona volontà dei singoli che a una vera e propria politica di conservazione. L’esempio dell’Osservatorio di Parigi e del suo archivio, in ottimo stato, sottolinea l’importanza della registrazione e della trasmissione dei dati ai ricercatori delle generazioni future.

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