“Quella disinformazione è scientifica”

Le notizie che i mass media diffondono sui nuovi farmaci immessi sul mercato tendono a esagerarne i benefici, a ignorarne i rischi e a non rivelare quanto costeranno al pubblico. E spesso non lasciano trasparire un insidioso nemico del consumatore: il conflitto d’interesse che spesso si verifica quando i test di laboratorio sono finanziati dalle industrie farmaceutiche. La denuncia arriva da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine condotto dal gruppo guidato da Ray Moynihan del Department of Ambulatory Care and Prevention, un centro che dipende dalla Harvard Medical School e dall’Harvard Pilgrim Health Care del Massachusetts.

Quando i fondi per finanziare le ricerche su un nuovo medicinale provengono dall’impresa che lo produce, c’è una probabilità maggiore che gli studi risultino favorevoli. L’ultimo caso di ricerche clamorosamente manipolate è stato riportato giusto qualche settimana fa sempre dal New England Journal of Medicine. Ma il problema si presenta anche quando i nuovi farmaci finiscono sulle pagine dei giornali rivolti al grande pubblico: se a un ricercatore – tipicamente citato dai mass media come “esperto” – viene chiesto un giudizio su un particolare farmaco, egli dovrebbe sempre dichiarare i suoi eventuali rapporti con la casa farmaceutica che lo commercia. Lo studio americano ha rilevato invece che ciò accade solo nel 40 per cento dei casi esaminati.

“Le riviste scientifiche più prestigiose chiedono sempre agli autori degli studi che pubblicano di rivelare i finanziatori della ricerca, almeno quando esiste un legame tra questi e il farmaco esaminato”, afferma Moynihan. E aggiunge: “I media dovrebbero adottare lo stesso comportamento, in modo che il pubblico abbia tutte le informazioni per decidere della propria salute”.

Tra i media americani, i ricercatori del Massachusetts hanno analizzato 180 giornali, sia nazionali che regionali, e 27 reti televisive. Tra il 1994 e il 1998 hanno seguito tutti i servizi giornalistici realizzati su tre farmaci particolari: il Fosamax (per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi), il Pravachol (contro l’eccesso di colesterolo) e l’Aspirina. Il risultato è tutt’altro che incoraggiante: le notizie diffuse dalla cronaca sono spesso ingannevoli o quantomeno fuorvianti.

Il 60 per cento dei servizi esaminati non offre infatti alcun dato numerico sui benefici di un farmaco, lasciando così il pubblico senza strumenti per giudicarne l’efficacia. E se anche i numeri vengono citati, nell’83 per cento dei casi risulta comunque difficile arrivare a delle conclusioni. Per esempio, in materia di osteoporosi, nel 1996 fu presentato un medicinale che riduceva del 50 per cento la probabilità di fratture all’anca. Non si riportava però che solo il 2 per cento di chi soffre di questa malattia subisce effettivamente fratture all’anca. Dunque, il farmaco era sì utile, ma per risolvere un problema marginale rispetto a quelli cui va incontro chi è malato di osteoporosi. Oltre la metà dei servizi inoltre non discuteva dei possibili effetti collaterali dannosi e il 70 per cento di questi non faceva alcun accenno al suo costo, un parametro invece sempre più importante per valutare l’utilità sociale del farmaco.

“I media sono una fonte di informazione fondamentale sulla salute pubblica”, afferma Stephen Soumerai, professore all’Harvard Medical School e coautore dello studio, “ma le notizie sui nuovi farmaci in commercio diventano ingannevoli se mancano di indicare i possibili conflitti di interesse, se non discutono i rischi, i costi o i reali benefici”.

“Negli Stati Uniti molte persone non hanno idea di quanto siano diffusi i collegamenti finanziari tra le industrie e i ricercatori”, gli fa eco Moynihan, “e purtroppo non esiste alcuna forma di regolamentazione in materia di conflitto d’interesse. E il problema non riguarda solo gli Usa”.

Anche in Italia, infatti, la situazione non è incoraggiante, come ha spiegato a Galileo Silvio Garattini, farmacologo e direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano: “C’è un eccesso di pubblicità dei farmaci da parte dei mass media e c’è anche una tendenza a esagerare i benefici minimizzando i rischi. Molti dei principali opinionisti in medicina sono inoltre consulenti delle industrie farmaceutiche, per non parlare poi dell’eccesso di pressione che queste esercitano sui medici”.

La rivista medica The Lancet ha rivelato recentemente che in Italia un medico di base riceve in media 450 visite all’anno dai rappresentanti di 102 case farmaceutiche. Questo significa più di un incontro al giorno. “Le informazioni che arrivano al pubblico sono terribilmente sbilanciate e il risultato è che viviamo in una società ‘farmacocentrica’ dove si pensa che esista una pillola per tutto”, incalza Garattini. E aggiunge che l’atteggiamento degli italiani dunque è di avere troppa fiducia nei confronti dei farmaci e degli esperti che ne parlano. “Ciò che davvero manca è un programma di informazione indipendente da parte delle autorità ministeriali, regionali e delle Asl”, conclude Garattini, “così l’industria avrebbe meno peso sull’educazione alla salute”.

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