“Quella legge s’ha da fare”

E’ lotta aperta al consumo di droga in Italia. Al motto di “tolleranza zero” i leader della maggioranza di governo, capitanati dal ministro per i rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, si sono dati appuntamento dal 5 al 7 dicembre a Palermo per la IV Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze. Obiettivo: discutere dei problemi connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotiche e rilanciare l’approvazione della proposta di legge Fini sulle droghe, ferma da giungo in Commissione Bilancio al Senato. Le forze dell’opposizione, gli operatori dei servizi pubblici, le società scientifiche e le associazioni legate ai cartelli “Diritti di strada” e “Non incarcerate il nostro crescere”, però, hanno boicottato l’appuntamento e chiesto un ritiro immediato della proposta. Ma il governo non ne vuole sapere e preme per far diventare legge il ddl Fini entro la fine della legislatura, anche a costo di ricorrere al voto di fiducia.

E’ servita a poco, dunque, la riduzione del ddl dai 106 articoli iniziali a uno stralcio di 20. Secondo le associazioni, infatti, i punti critici restano tutti. Nessuna differenza tra droghe pesanti e leggere, equiparazione del consumo personale allo spaccio e adeguamento del servizio privato a quello pubblico. “Rispetto alle norme attuali viene reintrodotto il principio della dose minima giornaliera, si stabilisce cioè la quantità che ogni cittadino può detenere prima di incorrere in sanzioni penali”, spiega Andrea de Angelis, presidente di Antiproibizionisti.it. “Con la reintroduzione della modica quantità, abrogata da un referendum popolare nel 1993, chiunque venisse colto con anche solo 3 grammi di marijuana incorrerebbe in sanzioni penali, come se si trattasse di uno spacciatore”. Al posto delle attuali 6 tabelle delle pene per detenzione, che distinguono gli stupefacenti in base alle diverse caratteristiche ed effetti, infatti, il ddl ne propone solo 2 che fanno riferimento non alla quantità della sostanza ma del principio attivo ed eliminano ogni distinzione tra droghe pesanti e leggere. Risultato: chi viene colto con 250 milligrammi di marijuana o hashish rischia da 6 a 20 anni di carcere come chi detiene 500 milligrammi di coca. “Le soglie fissate dalle tabelle bloccherebbero ogni tipo di sperimentazione, come quella avviata recentemente a Roma dal Policlinico Umberto I, e impedirebbero a migliaia di malati di potervi ricorrere”, continua de Angelis. “Gravissime poi le conseguenze sul sistema penitenziario. Il 30 per cento dei detenuti nelle carceri italiane è tossicodipendente, circa 17.000 persone.

Se il ddl passasse, porterebbe a un incremento di circa 20.000 unità”. Ma non finisce qui. La proposta Fini prevede anche un maggior accesso alle misure alternative al carcere per il tossicodipendente che ha commesso reati. Potrà esserci la sospensione per condanne fino a 6 anni (oggi il limite è 4) per consentire ai detenuti tossicodipendenti di passare dal carcere alla comunità. Ma come si farà convivere questa norma con la ex Cirielli, che invece impedisce la concessione degli arresti domiciliari o dell’affidamento in prova in comunità per i tossicodipendenti recidivi?Infine c’è il problema dell’equiparazione del privato sociale alle strutture pubbliche come i Sert. Con il ddl, infatti, anche le comunità di recupero potranno certificare la tossicodipendenza e predisporre il piano terapeutico. “Ciò è abbastanza insolito dal punto di vista giuridico e chiama in causa la questione finanziamenti, che vanno sempre più verso i privati”, spiega Franco Corleone, presidente di Forum Droghe, “Ci sono molte comunità che hanno bisogno di risorse, ma l’attacco rivolto ai Sert è un chiaro tentativo di condannare il ricorso al metadone e di favorire il business delle grandi comunità”.

Secondo Corleone, è necessario pensare a politiche alternative di riduzione del danno e di depenalizzazione del consumo. “I trattamenti devono mantenere i tossicodipendenti in società e non rinchiuderli in carcere o in comunità. La propaganda elettorale del governo non è un messaggio educativo per i giovani, verso i quali si deve fare informazione, prevenzione ed educazione, non repressione”. La strada scelta dall’Italia nella lotta alla droga, d’altronde, è diversa da quella del resto d’Europa. “Progetti seri di riduzione del danno come le ‘narco salas’ spagnole e la somministrazione controllata di eroina a Zurigo hanno ridotto l’incidenza di morti per overdose e i reati connessi alla tossicodipendenza”, conclude Andrea de Angelis. “E un anno fa lo stesso Parlamento europeo ha approvato la ‘relazione Catania’ sulla strategia dell’Ue in materia di droghe, che critica il fallimento delle politiche attuali chiedendone la revisione sul modello delle strategie alternative applicate da alcuni Stati membri”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here