“Quella pasta non è radioattiva”

“Cereali al reattore nucleare”. Così una decina di giorni fa il quotidiano tedesco Frankfuter Allgemeine Zeitung denunciava il trattamento con sostanze radioattive, come il cobalto e i raggi X, di parte del grano duro impiegato in Italia nella produzione di pasta. La notizia ha suscitato le immediate reazioni da parte di numerose associazioni, come la Coldiretti, la Confagricoltura, Legambiente, e del mondo accademico in difesa del prodotto “made in Italy” per eccellenza, apprezzato ed esportato in tutto il mondo per i suoi valori nutrizionali. Ma qual è la tecnica messa sotto accusa? Si tratta della radiogenetica, un sistema utilizzato negli anni Cinquanta per modificare i semi del grano, che non provoca effetti collaterali alla progenie. “Nella pasta non c’è alcuna traccia di radioattività”, ha esordito nell’intervista a Galileo Giantommaso Scarascia Mugnozza, membro dell’Accademia dei Quaranta e direttore del centro di ricerca dell’Enea alla Casaccia (Roma), negli anni in cui vennero effettuati gli esperimenti con la tecnica dell’irradiamento.

Quando è stata utilizzata per la prima volta la radiogenetica?

“Le mutazioni indotte attraverso radiazioni sono un metodo di applicazione intelligente di un processo del tutto naturale come la mutazione spontanea. A partire dagli anni Venti, nei laboratori più avanzati di Stati Uniti, Inghilterra e Svezia sono state studiate delle tecniche per accelerare la mutazione e ottenere maggiori quantità e tipi di mutanti tra i quali scegliere i migliori. L’obiettivo era di migliorare le caratteristiche delle piante agrarie. In Italia, gli esperimenti sono iniziati negli anni Cinquanta prima con le radiazioni ionizzanti (raggi X e neutroni), successivamente sono stati introdotti anche dei mutageni chimici. Per la maggior parte del lavoro è stato scelto il frumento duro, una specie essenziale dell’agricoltura mediterranea che all’epoca era a rischio di estinzione. Nel 1958, istituimmo al Centro studi Casaccia il laboratorio per le applicazioni in agricoltura. Oltre al grano, la tecnica della mutagenesi è stata applicata anche alle leguminose, alle orticole, e alle piante da fiore. Per un totale di più di 50 specie. L’elenco mondiale completo delle varietà di mutanti di piante agrarie e da fiore è mantenuto dall’Agenzia atomica di Vienna, regolarmente aggiornato”.

In cosa consiste esattamente questa tecnica?

“Abbiamo irraggiato con raggi X più di centomila semi. Abbiamo allevato le piante e, nelle generazioni successive, le abbiamo studiate e isolate. E né la tecnica è stata nociva per noi ricercatori, né le piante si sono rivelate radioattive. Escludo quindi ogni rischio di contaminazione per i prodotti, sia per i semi che per la pasta”.

Quali sono state le applicazioni pratiche delle vostre ricerche?

“Sono state moltissime. Basti pensare che ancora oggi più del 20 per cento delle varietà di grano duro che si coltivano in Italia discendono da varietà mutanti. E che i nostri mutanti sono stati utilizzati nei programmi di ricerca e di selezione di frumenti duri all’estero. Per esempio, in altri paesi del Mediterraneo o negli Stati Uniti, dove abbiamo più volte reso pubblici i risultati delle nostre ricerche o divulgato le nostre pubblicazioni. Insomma, il nostro lavoro non è stato assolutamente tenuto nascosto”.

Questa tecnica si utilizza ancora oggi?

“Dalla metà degli anni Cinquanta fino ai primi anni Ottanta questa tecnica era molto diffusa in Italia. Oggi, invece, esistono metodologie più mirate per il miglioramento genetico. Come, per esempio, quelle degli organismi geneticamente modificati. Comunque, i risultati che abbiamo ottenuto sono ancora largamente utilizzati”.

E il sospetto che questa tecnica aumenti l’intolleranza al glutine?

“Non ritengo che i casi di celiachia negli ultimi 40 anni siano aumentati in seguito alla diffusione del consumo di pasta irraggiata. Credo piuttosto che sia aumentata la capacità di diagnosi di questa malattia, per cui oggi per un caso che presenta sintomi chiari sappiamo, attraverso i valori riscontrati nel sangue, che ne esistono altri 10 silenti, non manifesti. Le cifre sulla diffusione del morbo non sono aumentate, e quindi è una forzatura la relazione tra il consumo di spaghetti e i casi di morbo celiaco. Che peraltro è causato dal glutine presente in tutti i farinacei, dal frumento tenero a quello duro”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here