Quello che i ragazzi non sanno sulle radiazioni

La tragedia di Fukushima e gli esiti del referendum sul ritorno all’energia nucleare in Italia hanno riacceso l’interesse per le radiazioni ionizzanti, come fu venticinque anni fa per Chernobyl e referendum che ne seguì. Però questi avvenimenti e le questioni scientifiche ad essi legate sono tanto “noti” quanto poco “conosciuti”, con la conseguenza che comportamenti e scelte di ciascuno non sono sufficientemente consapevoli. Questa è la tesi di Antonio Fasanella («Sapienza» Università di Roma) e Manlio Maggi (ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nel loro studio «Le conoscenze giovanili sulle radiazioni ionizzanti. Intervento e valutazione nelle scuole superiori del Lazio» (quaderni ISPRA, 4/2011).

All’ampiezza dello spazio e dell’attenzione dedicati a questi temi dai media – sostengono gli autori – non corrisponde un’informazione in grado di trasformarsi in crescita culturale dell’opinione pubblica. Da questa condivisibile convinzione è nata l’idea di condurre un’indagine conoscitiva tra gli studenti della scuola secondaria di II grado, combinata con un intervento di formazione mirato a migliorare la conoscenza su origine, impieghi e rischi delle radiazioni ionizzanti. D’altra parte l’ISPRA era già attiva su un programma di realizzazione e sperimentazione di strategie comunicative per diffondere conoscenze relative al rischio radiologico e per l’indagine statistica si è avvalso della collaborazione del dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale (CoRiS) dell’Università «Sapienza» di Roma.

Sono stati raggiunti così 2.635 studenti laziali, pescati nelle scuole secondarie di II grado perché considerati, in quella fascia d’età, potenziali mediatori culturali tra gli esperti dell’ISPRA e le famiglie, ma anche in futuro verso le nuove generazioni. C’era la speranza, insomma, di produrre un cambiamento stabile nelle comunità raggiunte, che, ovviamente, sono state selezionate proprio in relazione al loro legame con le radiazioni ionizzanti: Viterbo, caratterizzata da una forte presenza di radioattività naturale, una zona di Roma vicina al Centro ricerche dell’ENEA Casaccia e Latina, vicino al centro di Borgo Sabotino, dove la memoria corre alla nostra breve stagione del nucleare civile. Una quarta zona, a Frosinone, è stata invece scelta proprio per la sua neutralità rispetto al problema.

Nel campione selezionato i ricercatori hanno rilevato le conoscenze pregresse degli studenti (sia del gruppo sperimentale che di quello di controllo) tramite un test messo a punto dall’ISPRA. In seguito, hanno effettuato un intervento formativo sul gruppo sperimentale, al termine del quale gli studenti di entrambi i gruppi hanno affrontato un nuovo test per la registrazione dei cambiamenti intervenuti. Le rilevazioni effettuate hanno dimostrato che effettivamente il livello iniziale delle conoscenze era davvero scarso: il 70% dei ragazzi che vivono in prossimità di aree potenzialmente a più alto rischio radiologico, una larga maggioranza dunque, ha conoscenze iniziali giudicate “basse o medio/basse” dai ricercatori; addirittura il 90% del campione non sa se la propria scuola è vicina a fonti di radiazioni ionizzanti.

Una conferma dei timori iniziali dei ricercatori. Al tempo stesso, come era facilmente immaginabile, in seguito all’attività formativa è migliorata (anche se non in modo spettacolare) la preparazione dei ragazzi sulle questioni in esame. Per misurare l’entità del cambiamento i ricercatori hanno elaborato alcuni parametri in grado di sintetizzare tale cambiamento. Secondo un indice di miglioramento elaborato il gruppo sperimentale è progredito del 20,2% (il dato scorporato per genere diventa 27,6% per le ragazze e 14,7% per i ragazzi), mentre il gruppo di controllo è peggiorato del 7,2%. I ricercatori fanno notare che il progresso del gruppo sottoposto al processo formativo ha il vantaggio di essere stato particolarmente diffuso tra gli studenti, cosa che dà un senso speciale all’intervento svolto, poiché l’obiettivo principale era proprio di coinvolgere il maggior numero possibile di ragazzi; inoltre è stato rilevato anche un significativo incremento da punteggi bassi a punteggi alti.

Se si analizzano i contenuti dell’intervento formativo si rimarrà a dir poco sorpresi. Volendo affrontare – come già detto – origine, impieghi e rischi delle radiazioni ionizzanti, i ricercatori hanno preparato un’enorme quantità di materiali su tutte le principali questioni inerenti la materia affrontata: dalla struttura dell’atomo e i suoi processi di decadimento radioattivo ai princìpi di radioprotezione, dagli impieghi delle radiazioni ionizzanti nei settori medico e produttivo alla produzione di energia dall’atomo con tutti i problemi ad essa connessi, gestione delle scorie radioattive compresa. Tutto questo raccolto in 88 slide. Ma quando si legge il resoconto dell’intervento effettuato per gli studenti, ci si rende conto che si è trattato di un unico incontro formativo di un paio d’ore, compresa la discussione e i chiarimenti; insomma 90 minuti per 88 slide ci sembrano giusto il tempo di un’enunciazione, non certo di una spiegazione. Con questo non si intende sminuire il valore dell’attività svolta dall’ISPRA e dalla Sapienza, anzi, i progressi registrati tra una larga parte degli studenti e le punte d’eccellenza rilevate tra i ragazzi più motivati, dopo essere stati correttamente sollecitati, sono di grande conforto, ma resta una certa amarezza nel constatare l’immensa fatica con la quale sempre di più la scuola italiana deve esercitare il proprio mandato anche in occasioni preziose come questa. Leggete le pagine in cui i ricercatori descrivono con puntualità le condizioni e le modalità di svolgimento del proprio intervento in classe: laboratori attrezzati (a volte), ma anche palestre-uso auditorium senza neanche un numero sufficiente di panche su cui sedersi; studenti aggiunti all’ultimo minuto – quindi non facenti parte del campione selezionato – perché se un docente si assenta e non si trova (o non si può pagare) una sostituzione, mica si possono lasciare i ragazzi da soli; docenti delle classi che seguono e aiutano ad orientare gli interventi degli esperti, ma anche docenti che lasciano le classi in mano ai soli esperti (perché nell’emergenza continua delle scuole devono sostituire qualche collega assente o perché non considerano queste azioni formative funzionali al proprio progetto didattico?).

Si dirà che questi sono problemi antichi. È vero, ma la loro entità è cresciuta ed è diventato un peso insostenibile per l’intera istituzione scolastica. Anche chi offre il proprio sapere esperto alle scuole (e non sono molti) deve essere consapevole di accostarsi ad una realtà sempre più schiacciata dall’emergenza, senza mezzi, in cui l’offerta generosa di competenze può essere percepita dalla scuola come un disturbo, non potendo più contare su una quotidianità regolare, presupposto indispensabile per un apprendimento che si consolidi nel tempo. Per questo un coinvolgimento dei docenti delle scuole nella fase di progettazione dell’intervento formativo avrebbe, a mio parere, giovato all’iniziativa. Essa sarebbe stata inserita nel Piano dell’Offerta Formativa di ogni scuola coinvolta, diventando un tratto integrante del percorso didattico di ciascuna classe. Si sarebbe potuto calibrare in modo più efficace l’intervento sin dalla fase di progettazione. I ricercatori stessi ammettono di aver dato troppo spazio alla presentazione delle basi teoriche della materia presentata, che non tutti gli studenti erano in grado di seguire. Tuttavia questo sarebbe stato facilmente previsto se un insegnante fosse stato presente nel team di progettazione; certamente sarebbe stato in grado di segnalare la fascia d’età migliore tra gli studenti della secondaria di II grado a cui rivolgere il progetto, nonché una più efficace integrazione tra la didattica condotta in classe e gli interventi dell’esperto esterno.

La professionalità con cui i ricercatori hanno condotto sia l’indagine statistica che il progetto formativo merita di essere coniugata con le migliori professionalità della scuola, tanto più in questi tempi in cui la qualità dell’insegnamento non è sostenuta da alcun investimento reale, ma è affidata solo alla capacità di “tener duro” di ricercatori e docenti. Per tutte le considerazioni precedenti considero un aspetto interessante del lavoro del gruppo di Fasanella e Maggi il fatto che essi valutino quanto svolto come un primo atto di un’azione che (sperano) si protrarrà nel tempo. A questo proposito è in allestimento un sito web divulgativo dedicato alla radioattività ambientale, con una sezione dedicata appositamente agli insegnanti per potenziarne l’attività didattica.

Accanto a questo, i ricercatori mettono a disposizione dei docenti (ma più in generale di chiunque sia interessato) non solo i risultati dell’analisi pubblicati nel quaderno ISPRA già citato e rintracciabili sul sito dell’Istituto (www.isprambiente.gov.it) ma anche i materiali utilizzati per la formazione, sia per renderli fruibili nella pratica didattica, sia per ricevere suggerimenti e commenti ad integrazione del lavoro svolto.

Fonte: Sapere di ottobre

1 commento

  1. Dagli autori dell’indagine riceviamo e volentieri pubblichiamo.

    “I rilievi critici mossi nella recensione, pur complessivamente positiva, del volume Le conoscenze giovanili sulle radiazioni ionizzanti. Intervento e valutazione nelle scuole superiori del Lazio non colgono di sorpresa né i curatori né gli autori del lavoro. Al punto che, nel corso della trattazione, la questione dello scarso coinvolgimento delle scuole nelle fasi di sperimentazione era stata già oggetto di una riflessione sostanzialmente in linea con le posizioni espresse dalla prof.ssa Orlando (vedi pp. 204-5 http://www.isprambiente.gov.it/site/_files/pubblicazioni/Quaderni/Ambiente_Societa/Volume_radiazioni_ionizzanti_n_4_2011.pdf).

    Del resto, in una prospettiva di valutazione, entro la quale si colloca pienamente il nostro lavoro, l’analisi dei risultati della sperimentazione prevede anche e soprattutto l’evidenziazione degli eventuali elementi di criticità, perché se ne possa tenere conto nella messa a punto di nuovi progetti.

    Non si può, tuttavia, ignorare che la ricerca in generale, e tanto più la ricerca valutativa a base sperimentale impone vincoli metodologici a garanzia della validità interna ed esterna dei risultati a cui essa conduce (cfr. parr. 1.3. e 1.4. del citato volume). Per fare un solo esempio, una diluizione dell’intervento formativo in più occasioni, come implicitamente suggerito nella recensione al volume, avrebbe comportato un aumento della “mortalità sperimentale” (cfr. pp. 45-6), dal momento che il numero di studenti presenti a tutte le fasi dell’intervento sarebbe certamente diminuito, determinandosi in questo modo un serio problema di rappresentatività campionaria. Infatti, a fronte di una prevedibile migliore risposta all’intervento formativo da parte degli studenti coinvolti, avremmo registrato una partecipazione limitata a particolari tipologie di studenti (i più presenti a scuola, i più motivati, etc.). A questo proposito, un’analisi dei vantaggi e degli svantaggi relativi alle due possibilità di realizzazione dell’intervento formativo (sessione plenaria vs. ciclo di lezioni) è svolta nel capitolo 2 del volume (cfr. in particolare tabella 2.1. a p. 57).

    Infine, a latere dei vincoli interni di carattere metodologico, occorre, come sa bene chi si occupa di ricerca sociale e più in generale di ricerca, considerare una serie di condizioni esterne, legate, da un lato, alle linee più generali di progettazione in cui si inscrive la ricerca-intervento (tempi di realizzazione, risorse disponibili, etc.), dall’altro, alle disponibilità e alle esigenze dell’”oggetto di studio”. Nel nostro caso, per esempio, i responsabili di alcuni degli Istituti scolastici campionati avevano subordinato la disponibilità a partecipare alla ricerca-intervento a un impegno di risorse della scuola il più possibile limitato, il che escludeva proprio la possibilità di far entrare la ricerca-intervento nel complessivo piano dell’offerta formativa”.
    Antonio Fasanella e Manlio Maggi

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