Raee, maglia nera per l’Italia

Immaginiamo una montagna di 850mila tonnellate di cellulari, tostapane, lavatrici, ventilatori e frigoriferi. Accumulati tutti insieme, sono i rifiuti elettronici che, ogni anno, vengono prodotti in Italia. Di questa mole di ferraglia appena il 7,9 per cento viene gestito e recuperato correttamente.

E il resto (quasi sempre tossico e non biodegradabile)? Finisce in discarica. Quella del nostro paese in fatto di Raee (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) è una doppia e triste leadership: da una parte, nella classifica dei produttori – con più del dieci per cento sul totale di otto milioni di tonnellate dell’intera Comunità europea – e, dall’altra, in quella dei peggiori smaltitori.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat) (relativo al 2006), solo 1,15 dei 14,5 chilogrammi di Raee accumulati pro capite ogni anno viene gestito in maniera corretta: nulla a che vedere coi 12-16 chilogrammi di Svizzera e Nord Europa (in Norvegia addirittura 20 chilogrammi), ma molto meno anche dei cinque chilogrammi raccolti in Spagna. Secondo quanto stabilito in ambito comunitario al 31 dicembre 2008, il nostro tasso di raccolta dovrebbe attestarsi, invece, sui quattro chilogrammi a testa. L’obiettivo, dunque, è abbondantemente disatteso: una realtà, tuttavia, che non deve stupire, se pensiamo che l’Italia è stato anche l’ultimo paese dell’Unione a recepire, il 1° settembre 2007 (dopo quattro decreti legge di rinvio), le Direttive 2002/96/Ce e 2003/108/Ce in materia.

Al di là dei ritardi dell’iter legislativo, resta un dato di fatto: il 92,1 per cento del totale di Raee italiani viene abbandonato a un disfacimento nocivo, per l’essere umano e per l’ambiente. A illuminare parzialmente questa situazione i primi bilanci relativi all’operato dei sistemi collettivi dei produttori, quei consorzi volontari promossi dai fabbricanti delle apparecchiature che, in ottemperanza alle leggi finalmente vigenti, si occupano della raccolta e del trattamento di questo genere di rifiuti. Re.Media, per esempio, nel corso di questi ultimi quattro mesi ha provveduto a oltre 700 ritiri in tutta Italia, per un totale di 1.200 tonnellate di Raee inviate ai centri di trattamento. Nel solo aprile scorso i chili recuperati sono stati 900mila, il 300 per cento in più rispetto ai 300mila prelevati nei tre mesi precedenti. Segnali positivi, certo, ma comunque solo dei primi passi in un cammino che resta ancora tutto da percorrere.

La Direttiva Raee (entrata in vigore in Italia col decreto del 1° settembre 2007) è basata su un principio elementare: chi inquina, paga. Ciò significa che la responsabilità del finanziamento, del ritiro e dello smaltimento dei rifiuti elettrici è stata attribuita esclusivamente ai produttori (intesi come coloro che realizzano o importano un apparecchio, lo commercializzino con proprio marchio a prescindere dalla provenienza geografica del bene o lo immettono per primi sul mercato, assumendosene la responsabilità). Per fare fronte a quest’obbligo, è stata data loro la possibilità di fare pagare un eco-contributo al momento dell’acquisto di un’apparecchiatura nuova: una “tassa” che, qualora sia richiesta, deve essere esplicitamente segnalata in etichetta.

La raccolta differenziata avviene in apposite isole ecologiche: se, in passato, spettava ai soli cittadini consegnarvi i Raee, dal 1° gennaio 2008 questa operazione è svolta gratuitamente dai rivenditori, obbligati a ritirare l’apparecchio vecchio da buttare al momento dell’acquisto da parte della clientela di uno nuovo ed equivalente. Infine, come anticipato, ci sono i consorzi, che possono disporre di impianti di trattamento di diretta proprietà ai quali inviare i Raee di pertinenza dei propri associati od operare – con un semplice ruolo di intermediazione – facendo riferimento a impianti terzi. Finalità del sistema è il rispetto degli obiettivi di reimpiego e riciclaggio di questi materiali nelle percentuali fissate dalla Commissione europea e periodicamente aggiornate sulla base dello sviluppo costante dei sistemi e delle migliori tecniche di recupero (per l’Italia l’obiettivo attuale è, per l’appunto, quattro chili di Raee pro capite entro il 31 dicembre 2008).

Sono molte, tuttavia, le difficoltà che rendono al momento ancora inattuabile un processo virtuoso: deficit sia di natura strutturale che “culturale” la cui responsabilità riguarda tutti i soggetti in campo. Molte aree geografiche italiane, per esempio, sono sprovviste di un adeguato numero di isole ecologiche; altre, invece, non sono ancora state trasformate in modo da essere adibite pienamente a questo tipo di raccolta. In questi casi è l’amministrazione locale che deve provvedere, magari di concerto con i consorzi, ma si tratta di allestimenti non facili da realizzare, sia per motivi territoriali che urbanistici.

Problemi, però, esistono anche sul fronte della raccolta. Se per le grandi catene distributive, infatti, non è certo difficile disporre di un magazzino temporaneo nel quale stipare i Raee da smaltire o da affidare ai consorzi, per i piccoli dettaglianti, invece, questo tipo di organizzazione logistica è assai più complessa. I piccoli esercizi, infatti, difficilmente riescono a riservare uno spazio al loro interno dove custodire frigoriferi e televisori usati in attesa di dirottarli nel modo corretto. Infine, non è da trascurare anche la responsabilità degli acquirenti che – generalmente non troppo edotti sulle nuove norme – spesso preferiscono buttare il loro vecchio apparecchio o custodirlo in cantina, piuttosto che consegnarlo al distributore o lasciarlo negli appositi punti di raccolta.

“In generale la regolamentazione di questa materia non è ancora un patrimonio informativo a disposizione dell’utente e, per molti aspetti, anche degli stessi distributori”, dice a Galileo Rita Battaglia, vicepresidente Federconsumatori: “Manca, per esempio, la documentazione da diffondere alla clientela da parte dei rivenditori per rendere note le modalità e le sanzioni previste dalla legge. Molte persone, così, quando comprano un frigorifero nuovo non sanno che devono dare via quello vecchio, e questo malgrado il prodotto sia contrassegnato dall’apposito simbolo del cestino barrato che indica il divieto di buttarlo nel cassonetto”.

Le note dolenti, secondo il rappresentante dei consumatori, sono tante: dall’obbligo spesso disatteso dei rivenditori di segnalare l’eco-contributo richiesto dai produttori al rilascio della ricevuta al momento del ritiro dell’usato. “Le norme a oggi non sono state sufficientemente pubblicizzate”, continua Battaglia: “Magari gli apparecchi vengono consegnati o portati via correttamente, ma gli acquirenti restano comunque all’oscuro sulle nuove regole. A nostro parere, poi, i consorzi dovrebbero potenziare ulteriormente i momenti del ritiro, mentre ai piccoli rivenditori mancano sufficienti aree ecologiche a livello locale. Ma qui entrano in rapporto la disponibilità e gli accordi presi con il comune”.

Anche l’informativa riguardo i giorni di raccolta – per esempio, la calendarizzazione delle domeniche in cui i cittadini possono portare i materiali da smaltire presso le circoscrizioni – secondo Federconsumatori viene condotta in modo poco efficace. Un insieme di punti carenti che evidenziano, in breve, come lo scoglio principale da superare sia una complessiva mancanza di cultura eco-ambientale. “Al di là delle buone intenzioni e dei progressi, che pure è giusto segnalare, resta che la conoscenza dei diritti e dei doveri in materia di Raee è tutto sommato piuttosto scarsa, soprattutto nella maggior parte dei consumatori”, conclude Battaglia: “La conseguenza, così, è che si continuino a perpetuare comportamenti ecologicamente dannosi per la salute delle persone e dell’ambiente. Non neghiamo i passi avanti che sono stati compiuti, ma non basta. Che i consorzi oggi siano in moto è certo un elemento positivo: ma ritirare un po’ di più ed educare al ritiro sono cose diverse”.

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