Re per una notte

“Otto ore di marcia nella neve. E’ il tramonto. Finalmente vedete sorgere fra i colli la sagoma familiare delle torri di Gwenahir, ultimo villaggio della Contea. Accelerate il passo, e in meno di mezz’ora siete nella taverna di Dabor. Sedete vicino al caminetto acceso, attorno a un rozzo tavolo di quercia. Di fronte a ciascuno di voi l’oste pone un boccale di birra, un tozzo di pane nero e una zuppa di fagioli fumante. Brindate, per dedicarvi immediatamente al pasto caldo che sognavate da una settimana. Ma non ne avete il tempo: la porta della locanda si spalanca con violenza, e fra il vento e la neve compare una figura inaspettata. E’ un ragazzo sui vent’anni. Indossa solo un saio di lino, sporco e lacero. Il viso e le braccia sono cosparsi di lividi. Il ragazzo non ha esitazioni: corre verso di voi, ma subito cade a terra. Ha i piedi legati con una grossa catena di bronzo. Si trascina sino al vostro tavolo, abbraccia le ginocchia di Lalaith, sacerdotessa di Gondar, e grida: ‘Tu, sacra Amazzone della Luce! E voi tutti, avventurieri delle terre d’Occidente, io vi prego, salvatemi! Sono Ranaar, figlio di Kolim il Giusto, principe di Gwenahir, prigioniero nella torre settentrionale… Tutto è perduto per me, se voi non…’
Un bastonata sulla testa pone fine alla supplica del giovane. Si chinano su di lui due soldati. La loro armatura è quella rossa e blu delle Guardie della Contea. Prendono il ragazzo per le braccia e le gambe, e lo trascinano via… Voi cosa fate?”

Comincia così una lunga avventura. Diverse persone sono effettivamente sedute attorno a un tavolo. Ma non si trovano in una taverna alla luce delle torce, e non ci sono prigionieri né soldati in armatura. Davanti a loro non ci sono fagioli né pane nero, ma pop corn, carta, matita e alcuni dadi dalla forma bizzarra. Che sta succedendo? Semplice: comincia una partita a un gioco di ruolo.

Il gioco di ruolo

I giochi di ruolo (Role Playing Games) nascono negli Stati Uniti, come derivazione di un’attività che gli americani hanno sempre amato: si prende un grande tabellone colorato, ci si sparpagliano decine di pedine a forma di cavalieri e fanti, di carri armati e aeroplani o chissà cos’altro, e si gioca alla guerra. Che si tratti di Napoleone in Russia, di Cesare contro i Galli o dei pellerossa contro le truppe del generale Custer, il risultato non cambia: i giocatori di un “wargame” si affrontano su un campo di battaglia famoso e cercano di ripercorrere o di capovolgere, nella maniera più verosimile, le gesta di un grande condottiero.

Ma all’inizio degli anni ‘70 avviene una mutazione interessante. Compaiono giochi di guerra il cui scenario non è più quello di battaglie storiche. Sulla scia del successo di saghe di ambientazione medievale o medieval-fantastica, come quella del Signore degli Anelli di J.R. Tolkien, o quella di Conan, gli americani cominciano a giocare wargame in cui si affrontano eserciti di orchi o di gnomi, armati a volte di frecce o spade magiche, comandati da druidi capaci di terribili incantesimi e affiancati magari da draghi giganteschi. E non è solo l’ambientazione a cambiare: nei nuovi wargame ai giocatori non basta simulare i movimenti degli eserciti in massa e pensarne le strategie. Ora si tratta di immedesimarsi e immaginare le azioni di singoli individui. Bisogna calarsi in un personaggio, recitarne la parte.

Così nel 1973, dall’ingegno di Gary Gygax e Dave Arneson nasce Dungeons & Dragons, il primo vero gioco di ruolo. D&D non è più un wargame. Ogni giocatore interpreta il ruolo di un solo individuo, dotato di precise abilità e dipinto fin nei dettagli fisici e caratteriali. L’attenzione non è più rivolta alla simulazioni di grandi battaglie ma alla rappresentazione di un racconto. Fra i giocatori compare la figura del Master, giocatore esterno, super partes. Il Master narra la storia, descrive le situazioni in cui si vengono a trovare i personaggi interpretati dai giocatori, calcola le conseguenze delle loro azioni e recita la parte di tutti gli individui che i personaggi incontrano nel corso della loro avventura.

Successi ed evoluzione del Role-Play

Il successo di Dungeons & Dragons è immediato e travolgente. Nel 1975 il fatturato della TSR, la casa fondata da Gygax, è di 50.000 dollari. Nei tre anni successivi si passa a cifre dell’ordine dei 300.000, 600.000 e 1.200.000 dollari. E fra il ‘79 e l’80 il successo è al di là di ogni previsione: le vendite quadruplicano, da 2 a 8 milioni di dollari.

Contemporaneamente, i giochi di ruolo si moltiplicano (http://rpg.net). Anche l’ambientazione viene diversificata. Accanto al tipico scenario fantasy (DragonQuest, RuneQuest, Tunnels & Trolls, Merp, ecc.), compaiono giochi di ruolo “gialli”, “horror” (come Call of Cthulhu, ambientato nell’America proibizionista e basato sui racconti di H.P. Lovecraft, o come Vampires, in cui i giocatori interpretano il ruolo di vampiri), giochi di fantascienza, cyberpunk, giochi ambientati nel mondo dei fumetti, dei supereroi o dei cartoons, giochi di ambientazione storica, e cento altri. Nascono anche giochi di ruolo generici, come Gurps o, recentemente, l’italiano Elish, in cui uno stesso set di regole permette al Master di creare avventure di qualsiasi ambientazione.

In alcuni giochi l’attenzione si sposta totalmente sulla simulazione, sull’interpretazione dei ruoli, sulla narrazione della storia, e si rinuncia a regole rigide che definiscano la gestione delle azioni dei singoli giocatori o i combattimenti di gruppo. Si arriva ai giochi di ruolo degli anni ‘90, ai giochi di “narrazione” o di “comitato”, come Ars Magica, Amber Diceless Role-Playing, On Stage, Elish, ecc., in cui il Master è vincolato da un regolamento molto semplificato, e libero di improvvisare e dipingere scenari suggestivi.

I giochi di ruolo spingono al suicidio?

Chiunque abbia partecipato a una campagna di Dungeons & Dragons, o chi ha un figlio adolescente appassionato di Role-Play, sa bene quanto tali giochi possano essere appassionanti e coinvolgenti. Così, di pari passo con la diffusione nel mondo dei Role Playing Games, è cresciuta la preoccupazione per i possibili effetti collaterali di ordine psicologico che possono avere attività del genere, che arrivano ad assorbire gran parte del tempo libero di una persona.

La prima grande campagna contro i giochi di ruolo cominciò negli Usa nel 1979. Un sedicenne, appassionato di giochi di ruolo, sparì nel nulla. Poco tempo dopo un altro adolescente si suicidò, secondo la madre in seguito ad una “maledizione” lanciata sul suo personaggio di D&D. Da quel giorno sono nate, soprattutto in America, associazioni contro la pratica dei giochi di ruolo. Sono stati scritti libri, lanciate periodiche campagne di stampa.
Anche in Europa ci sono stati casi di suicidio attribuiti all’immedesimazione eccessiva di un giocatore col proprio personaggio. Di recente, autorevoli quotidiani italiani hanno persino associato ai giochi di ruolo alcuni casi di lancio di sassi dai cavalcavia delle autostrade.

In realtà, le storie di suicidi o comportamenti criminali associati al gioco di ruolo di cui parla la cronaca sono da ricondurre al fenomeno delle leggende metropolitane. In tutti gli studi psicologici effettuati, gli appassionati di giochi di ruolo non hanno mai mostrato una tendenza maggiore a comportamenti violenti, alla depressione o al suicidio. Al contrario, si è visto che i giochi di ruolo possono avere effetti positivi e significativi su bambini e adolescenti, perché favoriscono la socialità e stimolano la lettura e le attività matematico-scientifiche.

Analizzando i casi di suicidio fra i giocatori di Role Playing Games si scopre che sono molto meno numerosi rispetto alla media della popolazione: il gioco sembra addirittura prevenire il suicidio più che favorirlo. E comunque, in tutti i casi noti di suicidio, si è visto che i ragazzi coinvolti soffrivano di seri disturbi psicologici, indipendenti dal gioco di ruolo. Un’associazione a favore dei giochi di simulazione ha riassunto così la situazione: “Un giocatore che si suicidi dopo aver perso la propria identità in un gioco di ruolo è un fatto comune esattamente quanto quello di chi decida di uccidersi dopo aver fatto bancarotta in una partita di Monopoli”.

Sono altri i motivi per cui, a partire dagli anni ‘70, i giochi di ruolo hanno riscosso interesse crescente nella comunità degli psicologi. Psicodrammi e altri giochi di ruolo terapeutici sono stai utilizzati per aiutare bambini disadattati a sviluppare le abilità sociali e il senso della cooperazione reciproca. In molte scuole americane vengono istituite ore di lezione riservate al gioco di ruolo, considerato capace di veicolare molti contenuti educativi. Non solo. I giochi di ruolo e di simulazione vengono oggi utilizzati in molte aziende, anche in Italia, per selezionare i dirigenti o sviluppare le loro capacità decisionali.

Come è nata allora la leggenda della pericolosità dei Role-Playing Games? Dalla confusione, tipica di chi non ha mai giocato, fra un giocatore e il personaggio che interpreta. Alcuni gruppi fondamentalisti cristiani, negli Stati Uniti, hanno denunciato i giochi di ruolo come “blasfemi” e pericolosi, perché istigherebbero ad attività di satanismo. La verità è che nei giochi di ruolo si parla di magia, di resurrezione, di stregoni e negromanti. Ma un giocatore non compie riti pagani, non saprebbe come compierli e in genere non è interessato a conoscerli. E’ soltanto il suo personaggio che, nel mondo fantastico del gioco, possiede il potere e le conoscenze per lanciare incantesimi e maledizioni.

Il computer e i giochi di simulazione

Negli stessi anni in cui i giochi di ruolo conquistavano milioni di persone, l’universo dei videogame cresceva fino a dominare il mercato plurimiliardario dei giochi.I primi videogiochi, Space Invaders, Pac Man, Donkey Kong, erano degli “arcade”, ovvero giochi con una schermata quasi fissa, il cui scopo era riuscire per il maggior tempo possibile ad aggirare o distruggere ostacoli mortali via via più numerosi e agguerriti.

Con l’avvento degli home computer e dei personal computer, all’inizio degli anni ‘80, si assiste ad una rapidissima evoluzione e diversificazione dei videogiochi. Grazie alla presenza della tastiera, nascono i primi giochi di avventura, per alcuni aspetti ispirati ai giochi di ruolo: il computer prende le veci del Master e descrive lo scenario in cui il giocatore si trova ad agire. L’utente può scegliere il proprio personaggio, modificarne le caratteristiche, registrarne la storia. Il gioco si fa complesso, l’interazione con l’ambiente è a volte assai sofisticata. Anche nei giochi con una forte componente grafica e di animazione, la simulazione di ambienti e di storie diventa via via più importante.

Dalla realtà virtuale alla realtà simulata

Parlando di simulazione e giochi al computer viene subito da pensare ai simulatori di volo o di guida, ai programmi di realtà virtuale. Ma accanto ad essi, fin troppo noti, nascono interessantissimi giochi in cui vengono simulati scenari complessi che il giocatore deve gestire quasi come un deus ex machina.

In SimCity, ad esempio, il giocatore deve decidere dello sviluppo di una intera città. Dove edificarla? Quali scelte urbanistiche fare? Privilegiare il trasporto pubblico o quello privato? Più treni o autostrade? Quanti ospedali, case, parchi? Quante industrie? Quante tasse imporre? Centrali nucleari, a carbone, o fonti alternative? Col passare del tempo, le scelte del giocatore influiscono sull’intero scenario e se ne vedono le conseguenze. Se la città è stata costruita male, può venire rasa al suolo da un terremoto. Se è stata governata con poca intelligenza, la popolazione si ribella, la criminalità raggiunge livelli insostenibili, o la disoccupazione impera.

In SimEarth invece il giocatore ha nelle mani il destino di un intero pianeta. Può scegliere persino la composizione dell’atmosfera, il tasso di attività vulcanica, il tipo di forme di vita destinate ad evolversi. Scopo del gioco: riuscire ad arrivare a forme di vita intelligenti capaci di scoprire le leggi della fisica.

O ancora: SimAnt permette di simulare la vita di un formicaio alle prese con i problemi di tutti i giorni (guerre coi formicai vicini, migrazioni, insetticidi, lotte con giardinieri e casalinghe), mentre il celeberrimo Civilization permette di cimentarsi nel ruolo di un intero popolo agli albori della civiltà. Il giocatore può decidere quanto la sua nazione preferirà le capacità guerresche a quelle letterarie o scientifiche, quanto sviluppare l’agricoltura piuttosto che l’industria, quanto dedicare alla diplomazia e quanto allo spionaggio, e così via. Col risultato di ritrovarsi estinti da qui a qualche secolo, oppure coinvolti in una guerra nucleare, o forse fautori del primo viaggio interstellare di colonizzazione extraterrestre.

I videogame dell’ultima generazione

Il progresso stupefacente degli ultimi anni nell’hardware dei computer e nelle consolle dei videogame sta rendendo superate molte delle vecchie distinzioni fra i videogiochi. Le nuove consolle a 64 bit permettono di trattare ogni genere di gioco con grafica tridimensionale animata in tempo reale. Il più innocuo degli “arcade” diventa così un vero gioco di simulazione o un buon esperimento di realtà virtuale.

Anche i cosiddetti giochi “sparatutto”, il cui obiettivo era quello di distruggere nemici a più non posso, in un crescendo di pericoli mozzafiato, vanno facendosi assai sofisticati. L’interazione con l’ambiente circostante è molto realistica: al di là del combattimento con i nemici, è possibile muovere e utilizzare oggetti in molte maniere, escogitare diverse strategie di soluzione di uno stesso problema, ingannare gli avversari, modificare a proprio vantaggio l’arredamento di una stanza, e così via.

Esempi paradigmatici sono i giochi “cult” della grafica tridimensionale “in soggettiva”: Wolfenstein 3D, Doom, Duke Nuk’em, dove l’effetto è quello di trovarsi dentro lo spazio del gioco, come in un film dove lo spettatore “vede” con gli occhi della telecamera. Il giocatore ha a disposizione diverse armi, interagisce con mostri che hanno capacità differenziate e persino una certa personalità, può adoperare o modificare molti degli oggetti che incontra sul suo cammino, deve scoprire trappole e passaggi segreti, risolvere problemi in tempo rapido, imparare a nascondersi e tendere imboscate. E’ anche possibile giocare in rete, con più giocatori. Il suono in stereofonia permette di sentire da quale direzione provengano gli avversari, o persino di origliare al di là di una porta.

Che questa sia una vera e propria simulazione e non più un semplice gioco di abilità col mouse o il joystick è dimostrato da un fatto emblematico. Il corpo americano dei Marines ha recentemente acquistato Doom, lo ha modificato, e lo utilizza per l’addestramento dei militari per simulare le armi effettivamente in dotazione ai soldati.

E su Internet?

Ovviamente, la rete non è rimasta a guardare. I siti di giochi in rete sono ormai innumerevoli, e fra questi i giochi di simulazione occupano un posto di tutto rispetto.
Un caso particolarmente interessante, perché innovativo e capace di sfruttare le caratteristiche peculiari della rete, è quello dei MUD. Un MUD (Multiple User Dialogue, o Multiple User Dimension), è un ambiente interattivo virtuale, gestito da un computer in rete che funge da Master. Chiunque può collegarsi, costruire un proprio personaggio, e cominciare a vivere un’avventura. Si possono esplorare labirinti, affrontare pericoli, risolvere enigmi, prendere e modificare oggetti. Ma soprattutto, grazie alla rete, più personaggi possono conoscersi e interagire.

Succede di tutto, in un buon MUD. Potete incontrare pericolosi veterani specializzati nell’individuare ed eliminare i novellini in maniera poco ortodossa. Potete imbattervi in un Wizard, cioè un personaggio tanto esperto da avere il potere di creare nuove sezioni, nuovi ambienti nel mondo del MUD. Oppure potete trovarvi follemente innamorati di un altro avventuriero o avventuriera e scoprire solo sul più bello che si tratta di un Bot, cioè un programma costruito, forse da qualche appassionato del test di Turing, per fingersi un umano e prendersi gioco di voi.

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