L’idea è semplice: un registro dove chi lo desidera possa lasciare le proprie volontà anticipate per la sua fine vita, il cosiddetto testamento biologico. Semplice ma rivoluzionaria, visto che in Italia, nonostante tre proposte di legge già presentate, non esiste ancora una normativa in materia. E la cronaca regala casi come quelli di Eluana Englaro, la ragazza che dal 1992 è in stato vegetativo permanente alimentata da un sondino nasogastrico. Il padre, suo tutore legale, ha chiesto più volte di sospendere l’alimentazione forzata, appellandosi al diritto di rifiutare le cure e al fatto che lei avesse dichiarato, quando era in vita, di preferire la morte al dipendere da una macchina per le proprie funzioni vitali, ma l’autorizzazione è stata sempre negata. La questione allora oltre che etica è giuridica. E infatti, non a caso, la Fondazione Umberto Veronesi ha scelto la sede della Cassa forense a Roma per presentare, lo scorso 1 marzo, la sua proposta di registro di volontà anticipate. E l’oncologo, presidente dell’omonimo ente, ne ha discusso insieme a numerosi giuristi e docenti universitari come Pietro Rescigno, Luigi Alpa, Maurizio De Tilla, Stefano Patti, Gilberto Corbellini, oltre a qualche ospite speciale, tra cui il cardinale di Ravenna, Ersilio Tonini. Il testamento biologico consiste nel dichiarare, quando ancora si è in grado di intendere e volere, fino a che punto si vuole essere trattati con terapie o resi dipendenti da macchine, anche quando non vi sia nessuna speranza di guarigione e la morte non sia comunque evitabile. “Il testamento biologico si può già fare”, dice Veronesi, “ma si tratta di un atto privato, che esprime le volontà del paziente di cui il medico deve tener conto per motivi deontologici, non per legge”. E se la volontà del paziente non fosse rispettata? Per far fronte a questi problemi al fianco della Fondazione Umberto Veronesi si è schierato il Consiglio nazionale del Notariato – in prima linea Maurizio Tilla, presidente sia della Cassa sia del Comitato Scienza e Diritto della Fondazione Veronesi, vero motore dell’iniziativa – disposto a offrire gratuitamente la propria consulenza, oltre ad alcuni strumenti informatici. Certo la soluzione auspicabile è quella di una pronuncia chiara da parte del prossimo Parlamento. Attenzione, però, “c’è legge e legge”, ammonisce Gilberto Corbellini, docente di Storia della Medicina all’Università di Roma. “Alcune delle proposte di legge sulla materia, prendono spunto dal documento del Comitato nazionale di bioetica in materia. Che, se fosse tradotto in legge, darebbe un risultato mediocre”. Perché? Per non aver incluso fra gli atti medici, che si possono rifiutare, l’idratazione e l’alimentazione artificiale, così come invece ha fatto l’Organizzazione mondiale della sanità. “Traducendo così il ruolo della bioetica in paternalismo, peggiore di quello utilizzato da alcuni medici”, dice ancora lo storico della medicina. Lo spettro presente alla tavola rotonda che ha visto coinvolti giuristi e scienziati è ovviamente quello dell’eutanasia. “Non si può costringere un medico a uccidere un paziente, anche se gravemente malato e poi evitare di punirlo e farlo sentire innocente”, ha dichiarato Tonini. Ma si tratta di un fantasma che si può sconfiggere facilmente. Una ricerca apparsa su The Lancet evidenzia come il numero di casi di eutanasia diminuisce in quei paesi (Olanda, Belgio) dove esiste una normativa chiara. In Italia, si registrano comunque casi di eutanasia, anche se la legge non lo permette, e nella maggioranza dei casi la scelta è fatta dal medico senza aver consultato né il paziente, né alcun parente.