Richiamo per le staminali

Aumentare la capacità naturale dei muscoli di ripararsi così da renderli più forti e potenti. Non si tratta dell’ultimo ritrovato per migliorare le prestazioni di calciatori o velocisti ma di una scoperta avvenuta nei laboratori del dipartimento di Istologia ed Embriologia Medica dell’Università di Roma “La Sapienza”, dove Antonio Musarò da anni studia il problema della riparazione muscolare. Ricerca che oggi ha fatto un ennesimo passo avanti: “abbiamo capito che esiste una specie di megafono capace di richiamare le cellule staminali che circolano nel sangue verso i tessuti che sono stati danneggiati e lì iniziare l’opera di rammendo”, spiega il ricercatore a capo di un’équipe che comprende anche Nadia Rosenthal, del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (Embl) di Monterotondo (Roma) e con Giovanna Borsellino, dell’istituto scientifico Santa Lucia di Roma. Se colpiti da un trauma i muscoli sanno reagire e correre ai ripari. Come fanno? Da una parte ci sono le cosiddette “cellule satelliti” dall’altra le staminali presenti nel sangue, entrambe vengono richiamate sul luogo e prestano la loro opera. “Ma si tratta di meccanismi non molto efficienti che tendono a divenirlo sempre meno con il passare degli anni e che non sono affatto sviluppati nelle persone colpite da distrofia muscolare o nel caso di molte malattie neurodegenerative”, spiega ancora Musarò. Partendo da questa osservazione i ricercatori hanno utilizzato il fattore di crescita mIgf-1 come megafono per convogliare verso i muscoli danneggiati più cellule staminali. “Il fattore è come un vigile urbano che indirizza le cellule staminali ematopoietiche, quelle che si formano nel midollo osseo, nella giusta direzione”, va avanti il ricercatore. Un vigile estremamente efficiente: le cellule richiamate sono state quattro volte di più del normale. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla versione on-line dalla rivista dell’Accademia americana delle scienze, Pnas, è stato condotto su i cosiddetti “topi Schwarzenegger”, animali in cui è stato inserito il gene che codifica per l’mIgf-1, più precisamente per la sua variante che agisce solo sui muscoli volontari, incrociati con animali distrofici. Il risultato è stato un miglioramento delle condizioni dei topi malati i cui muscoli hanno mostrato una capacità di autoriparazione molto superiore. La ricerca, finanziata principalmente da Telethon e in parte dal progetto cellule staminali del ministero della Salute, getta le basi per future terapie contro la distrofia muscolare: “Due sono le vie che si possono percorrere: utilizzare un vettore virale per introdurre mIgf-1 nell’organismo, oppure inserire del Dna nelle cellule staminali in modo che sia già presente nel patrimonio genetico”, sottolinea Musarò. Nel primo caso quindi si prenderebbe un virus come quello dell’influenza, lo si priverebbe della sua carica virale, e lo si utilizzerebbe come veicolo al bordo del quale far salire il fattore di crescita. Una volta arrivato a destinazione nel muscolo mIgf-1 comincerebbe a svolgere la sua azione di megafono richiamando le cellule riparatrici. Nel secondo di tratterebbe di prelevare le cellule staminali, inserire il gene che esprime il fattore direttamente al loro interno, stabilizzare il Dna risultante e quindi reinserire le cellule nell’organismo. In entrambi i casi comunque prima di parlare di risultati concreti il percorso è ancora lungo. Ma i primi passi sono pur sempre stati fatti.

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