Ricicliamo l’anidride carbonica

Ripensare l’economia coniugando sviluppo e sostenibilità, risorse e consumi. Solo in un contesto del genere ha senso ridurre le emissioni dei gas serra, in particolare dell’anidride carbonica, considerata il maggiore responsabile del riscaldamento globale. Ogni anno le attività umane immettono nell’atmosfera circa 25 miliardi di tonnellate di diossido di carbonio, pari al 3,5 per cento di quella prodotta dal ciclo naturale. Di queste, il 36 per cento proviene da impianti di produzione di energia, il 24 da processi industriali, un altro 24 dai mezzi di trasporto e il 10 dal riscaldamento domestico. La scienza è al lavoro da diversi anni e sono state messe a punto varie strategie, sia per limitare le emissioni, sia per tentare di “ripulire” l’atmosfera riassorbendo o riciclando parte dell’anidride carbonica già emessa. A livello europeo agisce il Rucadi, Recovery and Utilisation of Carbon Dioxide, una rete di laboratori che studia sistemi per il recupero e l’utilizzazione dell’anidride carbonica. Michele Aresta, docente di Chimica inorganica all’Università di Bari, è coordinatore del Rucadi ed è tra i maggiori esperti del problema. Galileo lo ha intervistato

Professor Aresta, è possibile intervenire sul ciclo del diossido di carbonio?

“Non è possibile agire sul ciclo naturale del diossido di carbonio. Il problema che scienza e tecnologia stanno affrontando è quello del controllo delle emissioni nell’atmosfera in modo da non alterare sostanzialmente questo ciclo. Ci sono diverse strade per tagliare le immissioni: da un lato il miglioramento delle tecnologie di produzione e uso dell’energia elettrica prodotta con gli idrocarburi, dall’altro il recupero e la riutilizzazione del gas emesso. Il primo filone trova applicazione anche nel settore dei trasporti. Infatti, i nuovi motori delle automobili consentono di percorrere più chilometri con meno carburante. Nel caso degli impianti termici per la produzione di energia elettrica, invece, i benefici saranno ancora maggiori. L’obiettivo è di giungere a rese del processo di conversione superiori al 50 per cento contro l’attuale 28 – 32. Con le tecnologie a disposizione nel campo della produzione di energia, è realistico pensare di riuscire a tagliare più del 20 per cento delle emissioni. Purtroppo, i limiti maggiori all’introduzione di queste tecnologie sono soprattutto economici e il tempo necessario per la sostituzione dei vecchi impianti”.

Nel frattempo cosa si può fare per ridurre le emissioni?

“La maniera più immediata per ridurre le emissioni di gas serra è di evitare perdite di energia, migliorandone l’utilizzazione. Un altro modo è, per esempio, la sostituzione del carbone con idrocarburi che producono una minor quantità di anidride carbonica per kWh di energia prodotta”.

Come potrebbe avvenire invece il recupero di anidride carbonica?

“Si stanno studiando diverse soluzioni per riassorbire parte del gas già emesso e immagazzinarlo in “pozzi” naturali come i serbatoi esausti di gas e petrolio e gli oceani. Ma ognuna di queste tecniche richiede un’attenta valutazione, soprattutto in ordine alle conseguenze ambientali e alla tenuta dei depositi. Per esempio, nel caso dei serbatoi acquiferi occorre valutare l’aggressività del miscuglio anidride carbonica e acqua sulle rocce, o la possibilità di fughe improvvise che riporterebbero il gas serra nell’atmosfera”.

E il deposito negli oceani?

“Gli oceani sono depositi con capacità di svariati milioni di miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Il loro impiego però è ancora piuttosto lontano perché è necessario studiare l’effetto del deposito di diossido a diverse profondità e i suoi effetti sui sistemi biotici e abiotici. Per esempio, occorre essere certi che, se il diossido di carbonio viene depositato nella forma solida di idrato sul fondo di un oceano, esso non risalga perturbando tutta la colonna d’acqua. Infatti l’idrato solido è in uno stato di equilibrio molto delicato che potrebbe essere perturbato in maniera non prevedibile dall’azione delle correnti e dalla variazione di temperatura. Insomma, serve uno studio molto attento. E lungo”.

Mentre i serbatoi esausti di gas o petrolio?

“Questa soluzione è più pratica, ma presenta comunque dei limiti. Uno non trascurabile è la distanza delle fonti di produzione del diossido di carbonio dai pozzi di immissione, con i relativi costi di trasporto e di iniezione”.

Il riciclo invece che cosa comporta?

“L’anidride carbonica è utilizzata in diversi settori tecnologici e in varie reazioni chimiche. Si calcola che il mercato richieda ogni anno di 10 milioni di tonnellate di diossido di carbonio, a cui si aggiungono altre 100 milioni di tonnellate per uso chimico. Gli impieghi sono molteplici: solventi, additivi per bevande, trattamento delle acque, liquido refrigerante al posto dei clorofluorocarburi, estinguente per gli estintori, e così via. Per questo impieghi si utilizzano di solito fonti naturali, mentre sarebbe più opportuno riciclare il diossido di carbonio recuperato dai processi di produzione di energia e da quelli industriali. Tanto più che ce ne sono alcuni, per esempio le fermentazioni, che lo producono puro, già pronto per l’uso. Il diossido di carbonio è un reagente di numerose sintesi chimiche: carbonati, policarbonati, carbosilati, carbammati, poliuretani, urea, e così via. Il suo impiego al posto di composti tossici potrà quindi permettere anche una chimica più pulita”.

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