Ricordi da fotografare

E’ possibile fissare su una pellicola un ricordo “archiviato” all’interno del cervello? A guardare le fotografie pubblicate su Nature dall’équipe diretta da Bruno Bontempi (nome italiano, ma nazionalità francese), sembrerebbe di sì. Le immagini ritraggono l’attività celebrale nel momento in cui viene attivato l’accesso ai ricordi. Lo studio è stato realizzato per comprendere il meccanismo attraverso cui le informazioni vengono immagazzinate nel cervello, con particolare attenzione al ruolo giocato in questo processo dall’ippocampo, una parte del sistema nervoso centrale. I risultati dei ricercatori dell’Università di Bordeaux hanno mostrato che l’ippocampo è la sede dei ricordi più recenti. Perché dopo pochi giorni le informazioni apprese da un individuo intraprendono un lento viaggio verso la corteccia celebrale, dove vengono infine archiviate. Tuttavia l’esatta ubicazione delle aree in cui i ricordi terminano il loro viaggio rimane ancora un mistero.

Lo studio dell’équipe francese ha preso spunto da una constatazione sperimentale, come afferma lo stesso Bontempi: “Le persone che hanno subito lesioni nella zona cerebrale dell’ippocampo non riescono a ricordare i fatti recenti mentre richiamano facilmente alla memoria eventi lontani nel tempo: ciò consolida l’ipotesi che l’ippocampo costituisca la nostra memoria effimera”. L’esperimento francese ha dato conferma di questa ipotesi, prendendo in esame il comportamento del cervello nella fase di accesso alla memoria.

A questo scopo, alcuni topi sono stati introdotti in un piccolo labirinto nel quale erano nascosti tre bocconi di cibo: il successo della prova consisteva nel ritrovamento di tutto il cibo. La prova veniva ripetuta sei volte al giorno per nove giorni. Trascorsi cinque giorni dall’ultima prova, alcuni topi, deprivati alimentarmente e dunque affamati, sono stati reintrodotti nel labirinto, lasciati girare per 35 minuti, prelevati e soppressi immediatamente. Il loro cervello è stato quindi asportato, immerso nell’azoto liquido e fotografato con una tecnica particolare chiamata autoradiografia. Al momento dell’uccisione, i topi erano impegnati in un notevole sforzo per richiamare alla memoria la disposizione spaziale del labirinto. Gli scienziati francesi sono dunque convinti che le loro immagini rappresentino una sorta di “fotogramma ibernato” dell’ultima azione mnemonica ed esse mostrano che l’attività metabolica dell’ippocampo è piuttosto intensa.

La stessa operazione è stata in seguito ripetuta, lasciando però trascorrere 25 giorni tra la memorizzazione del percorso e la prova finale. In questo secondo caso le fotografie hanno mostrato una attività dell’ippocampo assai più ridotta e dunque, concludono Bontempi e colleghi, nel frattempo i ricordi sono probabilmente migrati altrove.

Oltre ai risultati sui meccanismi della memoria, l’esperimento di Bordeaux è stato importante per perfezionare la tecnica dell’autoradiografia. Poco prima del test ai topi veniva iniettata una soluzione di desossiglucosio (uno zucchero) marcato con carbonio 14 che è leggermente radioattivo. Lo zucchero si concentra nelle aree in cui il metabolismo è particolarmente intenso che, grazie alla radioattività, risaltano quindi sulle lastre fotografiche.

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