Ritorno in Colchide

“Esiste anche in Iberia una piccola città chiamata città di Phrixos, l’attuale Idessa. È una località ben fortificata ai confini della Colchide”. Così riporta Strabone descrivendo l’Asia Minore nella sua Geografia. Venti secoli dopo, da quella testimonianza ha preso il via l’avventura che ha portato Livio Zerbini, archeologo dell’Università di Ferrara, a scoprire in Georgia una antica, plurimillenaria nercropoli di proporzioni vastissime e, cosa ancor più sorprendente, intatta. Oltre trecento tombe a tumulo che Zerbini, partito alla ricerca di Idessa insieme al suo amico e collega Vakhtang Lichelli dell’Università di Tbilisi, ha scoperto nel 2008 quasi per caso dopo aver individuato l’antica città citata da Strabone.

La necropoli si trova nella provincia di Samtskhe nella parte meridionale del Paese, in una vasta e ben nascosta vallata alla quale si accede solo dopo un’ora di percorso a piedi lungo sentieri accidentati. E questo, spiega Zerbini, è probabilmente il motivo per cui la necropoli è ancora integra: “Il luogo è impervio e inaccessibile, a 1.500 metri di altezza, su di un altopiano che domina l’alta valle del fiume Mtkvari”. Ciononostante, osserva l’archeologo, il fatto che sia rimasta intatta per seimila anni è veramente straordinario: “Qualcuno degli abitanti dei villaggi più vicini, Tsunda e Tmogvi, sicuramente sono arrivati sino a qui, ma non hanno avuto la consapevolezza che pochi metri sotto di loro vi erano sepolte le loro radici storiche”.

“La antica Colchide – nella parte più occidentale della Georgia – è  la terra del Vello d’oro, dell’impresa di Giasone e degli Argonauti, e dell’imponente spedizione militare di Pompeo Magno contro il re del Ponto, Mitridiate IV”, ricorda Zerbini. “Ponte tra Oriente e Occidente, questa zona era un passaggio obbligato, un crocevia di merci e di persone, ed è stata teatro di numerose battaglie e di almeno trenta tentativi di invasione dai popoli confinanti. Non stupisce quindi che ci siano innumerevoli meraviglie archeologiche ancora da scoprire”.

I trecento tumuli si estendono per circa tremila chilometri quadrati e, cosa anche questa notevole, coprono un amplissimo arco temporale: dal III /IV millennio a.C. fino al II / III secolo d.C. Finora sono state scavate soltanto cinque tombe, tutte databili al  XVIII secolo a.C. Al loro interno sono stati rinvenuti corredi funerari tipici del periodo (composti oltre che dallo scheletro da varie suppellettili come vasi di ceramica e manufatti in bronzo).

Di grande interesse è stato, secondo Zerbini il ritrovamento in una di queste tombe di un parte di scultura lignea, con tutta probabilità di carattere votivo, databile anch’essa al XVIII secolo a.C. “Riproduce la parte superiore di una testa taurina, riconducibile a culti particolarmente diffusi in area mediterranea”, spiega il professore di Ferrara. “La sua eccezionalità sta innanzitutto nel fatto che si tratta di un reperto di legno. Data la natura altamente deteriorabile del legno è un miracolo che questo frammento sia arrivato fino a noi. Inoltre conferma l’ipotesi che questo sito archeologico consentirà di gettare una nuova e più nitida luce su tutta questa regione e di meglio comprendere e definire i contorni di temi e motivi ricorrenti nelle civiltà mediterranee ed orientali”.

Fermi dal 2008, a causa della guerra con la Russia, scoppiata giusto una settimana dopo il ritrovamento, gli archologi hanno da poco ottenuto le necessarie autorizzazioni e sono ora pronti a ripartire con gli scavi.  Le prossime spedizioni sono previste per giugno e settembre di quest’anno e saranno occasione per scoprire l’eventuale e probabile presenza al fianco di essa di strutture insediative, oltre che per preoccuparsi del “dopo”.

“Una spedizione archeologica non è solo scavare e riportare alla luce reperti sepolti, è anche studio e collaborazione tra varie branche della scienza, ma soprattutto è pensare a quello che sarà a scavo ultimato: alla conservazione e alla valorizzazione di quanto trovato e dell’area in cui si è lavorato. Per questo nel nostro progetto è prevista, se sarà possibile, la realizzazione di un museo in loco, per l’esposizione dei reperti che rinvenuti e ancora da rinvenire, per la salvaguardia della zona”, conclude il professore. “In questo caso specifico – conclude – vorrei diventasse anche l’occasione per una terra ferita dalla guerra di ritrovare dignità e storia”.

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