In Cina le emissioni in atmosfera sono in gran parte associabili all’utilizzo del carbone, fonte primaria per la produzione di energia elettrica. Secondo il report elaborato dall’Energy Transition Research Institute e pubblicato su Scientific American, gli obiettivi di riduzione delle emissioni dell’intero pianeta non potranno essere raggiunti senza il contributo della Cina. Desta pertanto grande preoccupazione la progettazione di nuove e imponenti reti elettriche che, per le loro caratteristiche, sembrano prevedere l’uso del carbone anche in futuro. I dubbi e le preoccupazioni americane trovano conferma in uno studio elaborato dall’Accademia cinese per la pianificazione dell’ambiente, il think tank che fornisce supporto scientifico al Ministero della protezione ambientale.
Secondo quanto si legge nel rapporto, in Cina la combustione del carbone è responsabile del 90%, 70% e 60% delle emissioni rispettivamente di SO2, NOx e PM10 primario. Sebbene gli interventi per eliminare lo zolfo e i suoi composti dai gas di scarico messi in atto nel periodo 2005-2010 abbiano consentito di abbattere del 14% le emissioni di SO2, nello stesso periodo si è registrato un incremento del 35% dell’uso del combustibile fossile; ragione per cui alcuni studi hanno indicato in 10 milioni di tonnellate metriche (MMT) la riduzione di S02 e NOx necessaria per raggiungere livelli accettabili di qualità dell’aria.
La strategia elaborata dagli scienziati dell’accademia cinese per il periodo 2010-2015 si articola su tre sfide cruciali. La prima è l’adozione di tecniche di trattamento e lavaggio del carbone che, secondo i ricercatori, dovrebbe portare al livello delle nazioni sviluppate (70%) l’uso del cosiddetto “carbone pulito”. Il carbone grezzo in Cina è infatti di bassa qualità e solo il 30% viene “lavato”. La seconda è la riduzione del numero degli impianti a carbone per uso industriale; una strategia già attuata negli Stati Uniti dove l’abbattimento da 169 milioni di tonnellate metriche (MMT) a 63, avvenuto dal 1970 al 2010, ha comportato una diminuzione delle emissioni di SO2 del 70%. “Una grande parte delle 500mila caldaie presenti in Cina sono già state eliminate e la regione di Beijing ha annunciato un piano di riduzione del consumo annuo di carbone, dalle 26 MMT del 2010 a 20 MMT entro il 2015” ha spiegato Yu Lei, co-autrice dello studio, che ha aggiunto: “Sebbene al momento non ci sia un impegno preciso da parte del governo centrale, alcuni governi locali vanno nella stessa direzione da noi proposta”.
La terza sfida, per centrare l’obiettivo “inderogabile” di riduzione delle emissioni stabilito dal governo centrale cinese (8% SO2, 10%NOx), prevede l’imposizione di un tetto al consumo di carbone a livello regionale, così da frenare il desiderio di sviluppo economico di alcuni governi locali, perseguito attraverso la crescita delle industrie energivore di cemento, ferro e acciaio. “Il carbone rimane la fonte energetica principale”, ha confermato Yu Lei, “ma il settore cinese della produzione di energia sta cercando con forza di promuovere l’efficienza energetica e l’uso delle tecnologie di controllo delle emissioni degli impianti”.
Riferimenti: Environmental Science and Techonology DOI: 10.1021/es301226n
In effetti, il vero problema in Cina non è tanto l’uso del Carbone (magari, come dice l’articolo, utilizzando carbone “grezzo” cioè senza un preventivo “lavaggio” che consente di eliminare in larga misura gran parte della sostanza minerale che poi si ritrova nelle ceneri post-combustione), ma il fatto che ancora una larga parte dei vecchi impianti di generazione elettrica sono del tutto privi di quelle tecnologie che invece sono la regola nei Paesi avanzati e sviluppati del mondo.
Si tratta dei:
– desolforatori (per prevenire in massima parte le emissioni di SO2);
– denitrificatori (per le emissioni di NOx);
– depolveratori (filtri a maniche e filtri elettrostatici, che captano quasi totalmente il particolato);
Che la Cina abbia bisogno e voglia giustamente correre per consentire alla propria enorme popolazione di uscire dal sottosviluppo, è più che comprensibile ed opportuno, ma per fare questo in maniera più razionale dovrebbe spingere maggiormente per la sostituzione di qui vecchi e vecchissimi impianti di generazione elettrica che sono privi di tali componenti tecnologiche e che hanno “efficienze” di conversione elettrica molto bassi (dell’ordine del 25%, contro il 45% di moderni impianti tipo Civitavecchia.
D’altra parte, se la Cina sostituisse tutte quelle vecchie centrali alimentate a Carbone, per bruciare invece ad esempio BIOMASSE vegetali, il problema NON sarebbe certo risolto; anzi, peggiorerebbe e di molto, perchè la combustione di biomasse rilascia ancor maggiori emissioni degli inquinanti sopra indicati, con rese molto basse.
E neppure potrebbe valere il pensare di sostituire il Carbone con altri combustibili Fossili, così come sarebbe semplicemente illusorio ed impossibile farlo con le Fonti Rinnovabili, perchè anchè in Cina:
– il Vento non soffia ed il Sole non brilla 24 hr. al giorno, senza poi considerare la bassissima efficienza di quelle tecnologie e l’impossibilità di fornire elettricità in quantità per far funzionare impianti industriali ed ancora più difficile e complicato sarebbe il realizzare RETI di trasmissione che non esistono in un territorio così vasto.
Qual’è allora la soluzione?
Quella sopra indicata, vale a dire:
– l’inserimento di quegli strumenti per il filtraggio delle emissioni (SO2, NOx, PM) negli impianti in esercizio che lo consentono;
– la sostituzione dei vecchi impianti con nuovi che applicano le CCT (Clean Coal Technologies), come avviene in Italia ed Europa, ma anche negli altri grandi Paesi G8 (USA, Canada, Giappone).
Inoltre, va ricordato che la Cina (insieme a USA, Giappone, Korea Sud, India, Canada) ha varato nel 2005 il:
“Asia-Pacific Partnership on Clean Development and Climate”
un’accordo internazionale che prevede appunto il trasferimento tecnologico dai Paesi avanzati a quelli sottosviluppati e/o in via di sviluppo, che davvero darebbe un grande contributo al rilancio economico mondiale e sicuri grandi vantaggi dal punto di vista ambientale in tutti quei Paesi, con risultati concreti invece del fallimento del Protocollo di Kyoto.
Insomma, quello è il vero possibile sostituto del Protocollo di Kyoto che scade nel 2012 e che è risultato costosissimo (solo per alcuni furbi – tipo l’Europa) ed inutile a livello globale.
Speriamo che la grancassa speculativa NON confonda ancora le idee al mondo.
Solo l’attingere da una energia finora non sfruttata ma tecnologicamente ormai a portata di mano come l’ enorme, giacimento energetico dell “eolico di alta quota” o “eolico troposferico”, ha la potenzialita’ di risolvere a bassissimo costo tutti i problemi energetici attuali dovuti al picco del petrolio gia’ in atto, ed in condizioni di sciagurata e perdurante esplosione demografica mondiale (e continuazione del consumismo sprecone). Il vento ad alta quota e’ centinaia di volte piu’ costante, e potente di quello a bassa quota attingibile da (costose) torri eoliche a pale, ed e’ presente ovunque nel mondo! Fra decine di progetti mondiali in corso di sperimentazione, il progetto KiteGen KiteStem dell’ingegnere Massimo Ippolito con “aquiloni” (vele o ali semirigide) in aria a fornire energia da trazione e coi generatori elettrici a terra e’ sia la piu’ avanzata (impianto gia’ costruito in Piemonte ed in fase di prove operative), sia la piu’ promettente (energia elettrica a costo molto inferiore ad ogni sistema attuale). Si veda il sito kitegen.com