Rmn: garantisce la qualità ma non si usa

    Dalla clinica all’alimentazione: la risonanza magnetica nucleare (Rmn) è da tempo applicata anche al cibo. Come emerso dal II workshop sulle “Applicazioni della risonanza magnetica nella scienza degli alimenti”, tenutosi a fine maggio a Roma. Questa tecnica permette infatti di soddisfare le richieste di trasparenza e rintracciabilità degli alimenti, controllandone la qualità, la provenienza e le caratteristiche. Tuttavia, nonostante le innegabili potenzialità come strumento a tutela del marchio e del consumatore, la Rmn è ancora molto poco utilizzata in questo ambito. Ne abbiamo parlato con Cesare Manetti, docente di chimica-fisica all’Università della Sapienza di Roma.

    Professor Manetti, come funziona la risonanza magnetica nell’analisi degli alimenti?
    “Il principio di funzionamento è lo stesso delle indagini di risonanza magnetica in clinica medica. Si basa sull’analisi degli atomi di idrogeno (protoni) contenuti nell’acqua di cui è composto l’elemento di indagine.  Nel caso degli alimenti, tuttavia, la Rmn non si limita all’analisi dei protoni, ma comprende anche tutte le altre sostanze presenti negli alimenti, spesso non conosciute prima dell’indagine. L’immagine che si ottiene, chiamata spettro, funziona come un’impronta digitale: è unica per ogni l’alimento. Dalla posizione di un particolare segnale (picco) sullo spettro, specifico per ogni sostanza, è possibile identificare i componenti presenti. L’intensità del segnale consente, invece, di misurarne la quantità”.

    Come può essere utilizzata nella pratica?
    “Per esempio potrebbe essere impiegata per classificare prodotti Doc o Dop. Il mio gruppo di ricerca si occupa di caratterizzare i cereali tramite Rnm: studiamo profili di mais Ogm, confrontandoli con quelli di mais selvatico – in gergo wild type -, e analizziamo le variazioni causate dalle modifiche genetiche. Un’altra possibilità è adoperare questa tecnica per rilevare caratteristiche qualitative e sondare la presenza di sostanze adulteranti. Attualmente è impiegata anche per smascherare frodi alimentari nell’ambito del commercio di vini. Tramite quest’analisi si possono per esempio rilevare zuccheraggi e annacquamento dei vini o la miscelazione di diverse sostanze a succhi di frutta. Esperienze promettenti, ma ancora non entrate nella routine dei controlli, si registrano anche per  prodotti tipici come la mozzarella di bufala”.

    Quali sono i vantaggi della Rnm rispetto ad altri tipi di tecniche?
    “La Rnm ma ha il grande vantaggio di poter caratterizzare completamente un prodotto con una sola analisi. Infatti, permette di rilevare molte sostanze contemporaneamente. Inoltre è una tecnica sofisticata, a disposizione di pochi laboratori e quindi difficilmente impiegata da chi mette in atto frodi e alterazioni degli alimenti”.

    Se così efficace e promettente, perché allora non è molto diffusa?

    “Una prima motivazione potrebbero essere i costi: gli strumenti per analisi a bassa risoluzione potrebbero essere disponibili anche per i singoli laboratori, ma per ottenere il profilo degli alimenti, sono necessarie apparecchiature abbastanza costose. Si potrebbe comunque immaginare la creazione di consorzi diffusi sul territorio dedicati a questo tipo di analisi per diversi prodotti. Probabilmente, inoltre, mancano aziende interessate allo sfruttamento della tecnica. Personalmente credo che manchi lo spirito imprenditoriale necessario a cogliere le esigenze dei produttori in materia di tutela del marchio. Spesso, poi, è lo stesso produttore a diffidare dell’impiego di un “approccio tecnologico” a protezione della qualità e della tradizione”.

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