Rousseau, trecento anni ma non li dimostra

Nell’epoca delle interpretazioni, ai fatti si sono sostituite le parole, e, soprattutto, l’interpretazione delle parole stesse. Si sa quanto le parole possano essere pericolose, portare a pensieri politicamente scorretti, occorre quindi assai spesso farle dimenticare, celarle, sminuirle, seppellirle sotto macerie di parole altre, oppure, quando questo risulta poco possibile – o poco opportuno – affrettarsi ad interpretarle. Generalmente le interpretazioni appaiono assai più sofisticate e fumose del testo originale, tese come sono a garantirsi autorevolezza attraverso dotte citazioni e l’uso di termini desueti, per i quali il lettore/ascoltatore deve forzare, spesso inutilmente, la memoria, o rimanere in ammirata incertezza fidando nell’affidabilità – più spesso nella notorietà – di colui che interpreta. Se un lettore interessato, colto ma che poco o nulla ricorda dell’opera di Jean-Jacques Rousseau dai più o meno lontani studi adolescenziali volesse informarsi riguardo all’opera del filosofo ginevrino, si troverebbe a leggere, con tutta probabilità, che il suo pensiero viene considerato una delle fonti dei totalitarismi contemporanei, comunista e nazista in primis.

Questa interpretazione viene da lontano: da Condorcet attraverso Isaiah Berlin giunge fino ai nostri giorni. Gli scritti di Rousseau, ci viene spiegato, hanno ai suoi tempi eccitato le masse borghesi e popolari e portato alle “nefaste” conseguenze della Rivoluzione Francese. E pure, attraverso il pensiero di Marx, alla Rivoluzione d’Ottobre, si spinge ad affermare qualcuno. Hanno messo in crisi i valori “moderati” della religione e della tradizione e sostituito una nuova concezione dell’esistenza a quella cristiana. È pur vero che hanno ispirato la Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo, ma, fanno intendere molti dei nostri interpreti, non è il caso di esagerare: in fondo, l’alfiere del nazionalismo liberale Alexis de Tocqueville, non considerava massimamente pericolosa l’idea che “…ogni individuo e per estensione ogni popolo, ha il diritto di guidare le proprie azioni…”? E cosa c’è al giorno d’oggi di più indiscusso e politicamente corretto della parola “liberale”- con quel suo assonante richiamo alla felicità, alla libertà – in (quasi) tutte le sue

ormai infinite declinazioni ed accezioni, e di Tocqueville in particolare? Inoltre, si affrettano a farci sapere i siti online di ispirazione religiosa, Rousseau era un tipo strano, un disadattato dalla vita privata disordinata e dai molti figli illegittimi tutti abbandonati ai Trovatelli, nonostante una delle sue opere più famose fosse proprio quell’”Emilio” in cui vagheggiava l’educazione del fanciullo come sviluppo spontaneo e conquista della libertà della persona. Per non parlare del suo massimo peccato, quel suo giusnaturalismo tanto estremo da sfociare in “democrazia totalitaria”, nell’idea nefasta ed illiberale che il potere debba ad ogni costo rimanere nelle mani del popolo tutto. Una vera e propria religione di Stato, ad opporsi a quella Unica e Vera, con quelle festività civili ormai tanto inutili, anzi, deleterie, perché si deve produrre, produrre e produrre. Questa è, grosso modo, l’interpretazione del pensiero di Rousseau che oggi va per la maggiore, quella che il lettore troverà più facilmente e frequentemente ove volesse, in questo trecentesimo anniversario della nascita (28 giugno 1712), informarsi riguardo la vita ed il lavoro del filosofo ginevrino. Ma ci sarebbe un’altra strada.

Rousseau è uno scrittore splendido. Il suo romanzo Giulia o la nuova Eloisa, fu un best seller del tempo e le godevolissime Confessioni un ritratto intimo del loro Autore ed un impietoso affresco del la società dell’Età dei Lumi e di tutte le sue componenti sociali alle soglie della Rivoluzione, tanto vivo da fare invidia al genio di uno Sterne o uno Smollett. Non temiamo quindi di avvicinarci direttamente alla sua opera ed andiamo a cercarla in biblioteca o in libreria. La lettura diretta dei suoi capolavori, il Discorso sulle origini ed i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini (1754), e del Contratto Sociale (1772), ci renderà conto della strumentalità di ogni interpretazione.

All’origine di tutta l’infelicità dei singoli e dei popoli, congettura Rousseau, sta la disuguaglianza tra gli uomini. Non tanto quella stabilita dalla natura, che pure esiste, ma quella procurata dalla società. Il formarsi della società civile ha imprigionato l’individuo – in origine libero e felice perché di nulla abbisognava che non potesse facilmente procurarsi e di questo si accontentava – in una rete di lacci e laccioli che, a cominciare da quell’appropriazione indebita di bene comune che è la proprietà privata, lo hanno precipitato in uno stato innaturale di dominio dell’uomo sull’uomo. Il problema della libertà dell’individuo è quindi posto dal Ginevrino in rapporto all’appartenenza di questo alla società civile e perciò in rapporto all’autorità. Per cercare di ripristinare la libertà e l’uguaglianza tra gli uomini e correggere per quanto possibile sia le disuguaglianze naturali sia quelle sorte all’interno della consesso sociale ad opera della corruzione, delle ingiustizie, del dominio dell’uomo sull’uomo, è necessario che gli individui si uniscano volontariamente e liberamente in una forma di associazione che difenda e protegga la persona, la libertà ed i beni di ciascun associato. Un corpo morale composto da tanti membri quanti sono i voti dell’assemblea. Lo stato risulta così formato dalla volontà di tutti gli individui che lo compongono e non può avere interessi contrari ai loro. Dove la natura o la civiltà siano state ingiuste, lo stato sociale di Rousseau interviene a correggere, perché tutti possano godere delle medesime possibilità e si attui una autentica uguaglianza politica. Ciascuno, unendosi a tutti, non ubbidisce che a sé stesso e resta libero. Alla volontà generale spetta la sovranità, che, a differenza di quanto teorizzato dal giusnaturalismo di Hobbes, Grotius e Pufendorf, non può in alcun caso essere alienata a favore di un individuo (il Sovrano) o di un gruppo (il Governo), perché entrambi hanno la tendenza a degenerare, abusando del proprio potere. Il rifiuto sia del sistema assolutistico, sia di quello rappresentativo, seppure liberamente scelti dal popolo tutto, è costante: la sovranità spetta esclusivamente alla volontà generale e non può in alcun caso essere alienata. L’identità tra Stato e popolo appare completa : “…un atto di sovranità non è una convenzione tra superiore e inferiore, ma una convenzione tra il corpo e ciascuno dei suoi membri; convenzione legittima, perché ha per base il contratto sociale; giusta, perché è comune a tutti”.

Gli oppositori dell’Illuminismo e dell’ordine sociale e culturale uscito dalle idee dell’Età dei Lumi si misero immediatamente in moto, con virulenza. Con estrema virulenza agiscono anche in questi nostri anni, in cui il potere, al popolo, sta sfuggendo sempre più di mano. Sebbene la comunità sia in questi nostri tempi assai più consapevole, colta ed educata di quanto ai tempi di Rousseau si potesse anche solo sperare, la sua partecipazione diretta alla gestione dello stato viene ogni giorno depotenziata. L’estensione e la popolosità degli stati moderni ci hanno prescritto una democrazia rappresentativa che come sappiamo Rousseau non amava e la cui degenerazione pare dargli ragione: i candidati alle elezioni vengono prescelti in altro luogo e viene creata loro ad arte una immagine fittizia, fondamentale per convincerci a votarli “liberamente”. Nei momenti più sensibili della nostra storia recente vengono nominati governi che mantengono solo nominalmente legami con il cosiddetto “popolo sovrano” e che nei fatti hanno prerogative sia legislative sia esecutive. Eppure, “…non è bene che colui che fa le leggi dia loro esecuzione né che il popolo distragga la sua attenzione dalle considerazioni generali per dedicarla ad oggetti particolari …” perché “nulla è più pericoloso dell’influenza degli interessi privati sugli affari pubblici…” recita il Contratto sociale.

Obnubilati dalla propaganda del politicamente corretto, distratti dai problemi della finanza globale, in nome di una carità che nasconde ben diversi e prosaici fini e di una parola “libertà” mai così ossessivamente evocata, stiamo abituandoci a convivere, sui nostri mari, sulle nostre strade, nei nostri luoghi di lavoro, persino con quella che Rousseau considerava la massima aberrazione della società civile: il dominio dell’uomo sull’uomo, qualcosa che assomiglia troppo al traffico degli esseri umani, alla schiavitù. Se “per libera scelta”, tutti si affannano a convincerci, perché un popolo non potrebbe consegnarsi ad una teocrazia, ad un governo “illuminato”, “moderato”, che si occuperà del bene di coloro che in fondo neppure sanno quale sia in realtà il proprio bene? Se lo scelgo liberamente (liberamente?), perché non consegnarmi a chi in cambio della libertà potrebbe garantirmi in qual che modo una vita più agiata? Perché liberamente (liberamente?) non potrei vendere una parte del mio corpo, la mia stessa vita … vendere, vendere, comprare, “liberamente”.

Certo, a confronto con tutte queste fantomatiche “libertà”, Rousseau ci appare assai illiberale. No, il popolo non può, l’individuo non può, ad ogni costo, al di là di ogni contraria apparenza, alienare da sé la sovranità generale. La Monarchia diviene assai spesso assoluta, il Governo “si restringe quando passa dalla maggioranza alla minoranza” e prima o poi rompe il patto sociale.

I problemi che Rousseau ci pone sono enormi, e più che mai attuali. Le contraddizioni insite nel suo pensiero, analizzate con il senno di poi ed immersi come siamo in uno spirito del tempo che ci guida verso lidi assai differenti, ci paiono a volte macroscopiche. Ma non guardiamo il dito al posto della luna: a queste idee dobbiamo, tra le molte cose, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, l’abolizione della schiavitù, il suffragio universale, lo stato sociale e quel poco di uguaglianza che ancora ci rimane. Dobbiamo fare attenzione, da secoli c’è chi lavora per renderci queste conquiste irrilevanti, in nome della “libertà”. Per questo oggi facciamoci un regalo e lasciamo perdere le interpretazioni, compresa questa mia : leggiamo il Discorso sull’origine ed i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, leggiamo il Contratto sociale, e lasciamo parlare Jean-Jacques Rousseau.

Nell’immagine: il frontespizio del Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini. Credit: Wikipedia

Maria Cristina Marcucci è pedagogista e insegnante e cura la rubrica “Rileggiamoli” su Sapere. Ecco come abbonarsi alla rivista. 

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