Lo scorso 2 giugno il presidente russo Vladimir Putin ha approvato il decreto 355 sui “fondamenti della politica statale della Federazione russa nell’area della deterrenza nucleare”, un documento di sei pagine articolato in 25 punti. È la prima volta che la Russia illustra pubblicamente la sua posizione ufficiale sulla deterrenza nucleare, mentre finora tale strategia era mantenuta segreta e veniva ricostruita all’estero sulla base di informazioni parziali desunte da varie dichiarazioni e documenti politici e militari. Non vi è dubbio che il nuovo decreto vada anche inteso come una risposta ai dibattiti in Occidente, un tentativo di porre fine alle interpretazioni della politica nucleare russa che Mosca considera malintesi.
Poiché la Russia nel 1993 ha rinunciato alla politica di non-uso-per-primi delle armi nucleari annunciata da Leonid Brezhnev nel 1982 e da allora dà sempre maggiore importanza alle proprie armi nucleari, a fronte della sua relativa debolezza nelle forze convenzionali, è di vitale importanza per la sicurezza globale conoscere meglio possibile la politica nucleare russa.
Il nuovo documento dichiara che “la Federazione russa considera le armi nucleari esclusivamente come un mezzo di dissuasione, il cui uso è una misura estrema e forzata dalle condizioni” (punto 5) e che la politica russa di “dissuasione nucleare è di natura difensiva, volta a mantenere il potenziale delle forze nucleari a un livello sufficiente a garantire la protezione della sovranità e dell’integrità territoriale dello stato, la deterrenza di un potenziale avversario dall’aggressione contro la Federazione russa e (o) i suoi alleati, e in caso di scoppio di un conflitto militare – la prevenzione dell’escalation delle operazioni militari e la loro cessazione a condizioni accettabili per la Federazione russa e (o) i suoi
alleati” (punto 4).
L’uso delle armi nucleari russe è quindi previsto solo se la Russia viene attaccata, non può essere impiegato a sostegno di un attacco convenzionale russo a scoraggiare una reazione militare avversaria, come alcuni osservatori occidentali ritengono.
Va notato che siamo di fronte a una deterrenza estesa anche agli alleati della Russia, essenzialmente i membri dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettva (CSTO), Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, cui aderisce anche la Serbia, come osservatore.
L’essenza della deterrenza nucleare consiste nel “garantire che il potenziale avversario comprenda l’inevitabilità di ritorsioni in caso di aggressione contro la Federazione russa e (o) i suoi alleati” (punto 9) ed “è assicurata dalla presenza nella struttura delle forze armate russe di forze e mezzi pronti al combattimento capaci di impiegare armi nucleari in grado di infliggere con sicurezza danni inaccettabili a un potenziale avversario in qualsiasi condizione ambientale, e anche dalla prontezza e determinazione della Russia a usare tali armi” (punto 10).
Si tratta della definizione classica, risalente alla formulazione di Thomas Schelling, senza le sottigliezze e varianti considerate dagli analisti occidentali. Si tratta di una forma di deterrenza “punitiva”: piuttosto che per impedire all’avversario di raggiungere i propri obiettivi (“deterrence by denail”), assicura che il nemico dovrà attendersi danni eccedenti i vantaggi che si propone.
Un chiarimento importante riguarda le minacce che la Russia intende neutralizzare ricorrendo appunto alla deterrenza nucleare:
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Si deduce quindi che la principale minaccia percepita dalla Russia è un attacco convenzionale contro il proprio territorio: le capacità offensive della NATO, in particolare la varietà di armi convenzionali a lunga gittata assistite da sistemi spaziali, e le forze tradizionali esercitate in prossimità alla frontiera russa; i sistemi difensivi (non solo antimissile) miranti a impedire alla Russia di rispondere con armi nucleari a un attacco contro di essa. La situazione è in fondo analoga alla minaccia percepita dalla NATO durante la guerra fredda, quando le armi nucleari dell’alleanza servivano a rispondere alla (percepita) superiorità convenzionale delle forze del patto di Varsavia.
Il punto 13 chiarifica che “la Russia esercita la dissuasione nucleare verso i singoli stati e le coalizioni militari (blocchi, alleanze) che considerano la Federazione russa un potenziale avversario e possiedono armi nucleari e (o) altri tipi di armi di distruzione di massa o un significativo potenziale di forze da combattimento di impiego generale.” Chiaramente vengono compresi tutti i paesi della NATO, anche quelli privi di armi o basi nucleari, e probabilmente anche la Svezia e l’Ucraina per il loro potenziale convenzionale; la precisazione “che considerano la Federazione russa un potenziale avversario” esclude (al momento) la Cina e dà un segnale agli altri paesi con armi nucleari.
“La decisione di utilizzare le armi nucleari è presa dal presidente della Federazione russa” (punto 18), riaffermandone il controllo politico, e “le condizioni che rendono possibile l’impiego di armi nucleari includono:
Notiamo che la reazione nucleare è prevista anche in situazioni in cui le forze convenzionali russe non sono in grado di respingere l’attacco avversario e che non si differenzia fra diversi gradi di conflitto, l’idea di risposte “flessibili” non viene contemplata, e non si lascia spazio alla politica di “escalation to de-escalate”, vale a dire un uso nucleare limitato nel mezzo di un conflitto convenzionale, come invece ipotizzato in Occidente (che ha portato alla recente introduzione di armi americane di bassa potenza sui missili di alcuni sottomarini.
Inoltre, l’elenco delle condizioni d’impiego nella vaghezza delle definizioni solleva vari interrogativi: quando le informazioni di un lancio di missili diventano “affidabili”? La reazione nucleare è prevista anche a seguito del lancio di missili con armamento convenzionale? Cosa si intende esattamente per il rischio di “esistenza stessa dello stato”: si tratta della perdita della sovranità o di territori o piuttosto di sopravvivenza del regime?
Il nuovo documento non introduce molto di nuovo nella politica nucleare esistente, contenuta in particolare nella Dottrina militare del 2014, mentre, invece, chiarisce molti punti, che in precedenza erano rimasti controversi o vaghi, e specifica una serie di disposizioni.
Anche se rimangono punti importanti della politica nucleare russa che necessitano di ulteriori chiarimenti, il documento è estremamente utile in quanto una delle possibili cause del rischio dell’impiego, volontario o accidentale, di un’arma nucleare è appunto l’incertezza sulla dottrina nucleare dei potenziali avversari. La vaghezza della politica rischia di generare negli avversari fraintendimenti su linee d’azione in realtà non offensive e provocare reazioni eccessive, specie in situazioni di reciproca ostilità e diffidenza.
Ora i “fondamenti” di Putin e la corrispondente Nuclear posture review di Trump, pur con i loro limiti, forniscono un quadro realistico delle strategie nucleari russa e americana; sarebbe necessario a completare il panorama un analogo documento cinese, la cui politica nucleare è ancora largamente avvolta di mistero.
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