Salute, diritto universale

Il 20 per cento della popolazione mondiale possiede l’82,7 per cento del reddito mondiale. Le popolazioni dei paesi più ricchi e industrializzati hanno una longevità media che si avvicina agli 80 anni, mentre le popolazioni di molti paesi dell’Africa sub-sahariana non arrivano neanche ai 40 anni, con un netto regresso rispetto a dieci anni orsono. Le persone affette dall’Hiv dei paesi industrializzati hanno a disposizione gratuitamente farmaci efficaci contro l’infezione e la malattia, mentre ai malati dei paesi in via di sviluppo questa possibilità è negata (ma nuove speranze vengono in questi giorni dal Sudafrica). E quasi 900 milioni di persone nel mondo non hanno accesso ai servizi sanitari essenziali. Appare chiaro quindi che mai come oggi l’umanità soffre per ampie e crescenti disuguaglianze sanitarie. Una dichiarazione sull’equità e il diritto alla salute, che si oppone quindi allo stato di cose appena descritto, è stata sottoscritta da 50 scienziati e intellettuali, riuniti al Centro “Ettore Majorana” di Erice, nei giorni scorsi.

“Il problema delle disuguaglianze ha radici multifattoriali”, ha affermato Giovanni Berlinguer, presidente del Comitato nazionale di bioetica e firmatario dell’appello. “I finanziamenti privilegiano ricerche la cui applicazione è a breve scadenza e che possono allargare le basi del mercato dando luogo a prodotti vendibili”. E oltre a guardare ai profitti, si registra, sempre secondo Berlinguer, “una sottovalutazione delle scienze di base, come la fisica teorica, da dove poi nasce tutto il resto”. A questo si deve aggiungere che l’Organizzazione mondiale della sanità, “ha perso la leadership delle politiche sanitarie, lasciando il dominio alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale”. È quindi “irrinunciabile” e, nel contempo, “possibile”, un cambiamento di rotta, come ha sottolineato Nicoletta Dentico, direttore esecutivo di “Medici senza Frontiere”, anche lei firmataria. Di cui la recente vicenda di Pretoria è forse il primo passo.

Vicenda che ha portato all’attenzione del grande pubblico il problema dei brevetti farmaceutici. “L’accordo del Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights”, si legge nella dichiarazione di Erice, “stabilisce che tutti i paesi devono introdurre una legislazione sui diritti di proprietà intellettuale (brevetto) sui farmaci; ciò comporta l’esclusivo diritto delle industrie farmaceutiche di imporre prezzi inaccessibili per la stragrande maggioranza degli ammalati”, ma anche il General Agreement on Trade in Services (Gats), sembra favorire la crescita e l’espansione delle imprese private in campo dei servizi, compresi quelli sanitari. “Il Gats, bloccato a Seattle”, affermano i cinquanta firmatari della dichiarazione, tra cui Corrado Bonifazi dell’Istituto di ricerche sulla popolazione del Cnr, Dante Carraro del Collegio Universitario Aspiranti e Medici Missionari, Nicola Comodo, direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università di Firenze, Salvatore Geraci, direttore dell’Area Sanitaria della Caritas diocesana di Roma, Eduardo Missoni, esperto del ministero degli Esteri e presidente del gruppo Sanità del G8, “sta proseguendo a Ginevra a porte chiuse nella totale assenza di informazione pubblica”.

Cosa fare allora? Medici, ricercatori, docenti universitari e rappresentanti del volontariato sono d’accordo: “E’ un diritto, e insieme un dovere, di tutti pretendere che le decisioni e le scelte che riguardano la salute e l’organizzazione dei sistemi sanitari siano affrontate e discusse apertamente, con la massima partecipazione democratica dei cittadini”. L’auspicio è quello di un’inversione di tendenza rispetto agli scenari odierni, cambio di direzione che può essere intrapreso dalla sinergia di tre componenti: “la presa di coscienza dei cittadini, l’impegno della cultura e della scienza, le decisioni dei governi sulla base delle necessità dei popoli e non sotto la pressione di lobby e di interessi”.

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