Scienza da brevettare

Una risorsa per lo Stato e per le imprese: 7484 impiegati, di cui 3635 ricercatori, divisi in 316 organi di ricerca, 120 al nord, 99 al centro e 97 al sud. Ecco la fotografia attuale del Consiglio nazionale delle ricerche (http://www.cnr.it), il maggiore ente pubblico di ricerca in Italia, che mercoledì scorso ha presentato il bilancio della propria attività del 1998. La pubblicazione del secondo, esteso, rapporto annuale ha “lo scopo di dare visibilità al nostro lavoro e di esporci al giudizio esterno”, afferma il presidente Lucio Bianco. Ed ecco i numeri: il Cnr è l’ente che ha prodotto il maggior numero di pubblicazioni scientifiche in Italia (4470) , quasi il 15 per cento del totale italiano, con un incremento del 13 per cento rispetto al ‘97. E’ però indietro rispetto alla produzione di altri enti europei, come il Cnrs francese (15.837 articoli), l’Università di Londra (7375 pubblicazioni) o la Max Planck Society tedesca (6034 pubblicazioni). Il divario però si riduce se si considera il rapporto tra numero di pubblicazioni e personale di ricerca: al Cnrs francese lavorano infatti più di 12 mila ricercatori.

Dal rapporto è possibile valutare anche la qualità delle pubblicazioni scientifiche italiane: esistono infatti alcuni indicatori internazionalmente riconosciuti (per esempio l’impact factor), che tengono conto della diffusione delle riviste su cui compare un articolo e del numero di citazioni che esso riceve. I numeri dicono che tutte le pubblicazioni del Cnr raggiungono un buon livello: in particolare, la classifica vede fisica, chimica, biologia e matematica ai primi posti fra i settori di ricerca. Non male, visto che considerando la qualità media complessiva delle pubblicazioni italiane, solo quelle di fisica e chimica raggiungono la sufficienza, mentre quelle in biologia e scienze della terra, per esempio, hanno un impatto minimo sulla comunità scientifica internazionale.

E veniamo ai finanziamenti, che resta uno dei principali problemi della ricerca in Italia. Il bilancio complessivo del Cnr è di circa 1300 miliardi, di cui oltre mille provengono dal Murst (Ministero per l’università e la ricerca scientifica e tecnologica). Il problema è che l’Italia investe nella ricerca solo l’1,1 per cento del prodotto interno lordo, circa la metà di quanto spendono in media gli altri stati europei. E, a sentire Bianco, non è un investimento sufficiente: “Abbiamo chiesto un incremento dei finanziamenti del 10 per cento, che corrisponde a circa 100 miliardi in più. Abbiamo bisogno di strumenti, risorse finanziarie e umane – almeno duemila nuovi ricercatori – che ci diano una base di certezza su cui programmare lo sviluppo dell’ente. La garanzia di un graduale aumento delle risorse sarebbe infatti sufficiente a invertire la tendenza attuale e ci permetterebbe di progettare il futuro”. Il presidente del Cnr è ottimista? “No. Basta guardare all’ultima finanziaria: il fondo unico destinato agli enti di ricerca è ridotto a 25 miliardi e l’emendamento richiesto (40 miliardi in tre anni, per rinnovare la struttura scientifica del Cnr) è stato accolto in misura molto ridotta: solo 10 miliardi”.

Se i rubinetti del finanziamento pubblico si chiudono ogni anno di più, bisogna cercare altre soluzioni: la strada alternativa è già tracciata e si chiama autofinanziamento. Per esempio sfruttando le royalties sui brevetti detenuti dall’ente. Così, dai due brevetti depositati dal Cnr all’Epo (European patent office) nel 1997, si è passati agli 11 del 1998, un numero che colloca l’ente italiano al sesto posto in questa particolare classifica europea, preceduto dal Fraunhofer Institut tedesco (108 brevetti), dal Cnrs (45), dalla Max Planck Society (35), dall’Inserm francese (15) e dal Medical Research Council inglese (14). Ma Bianco vuole di più: “Una delle nostre debolezze è la scarsa capacità di sfruttare le scoperte. Dobbiamo incrementare il rapporto con le imprese, specialmente con quelle medie e piccole, che maggiormente hanno bisogno di innovazioni per competere”. Ma questo nuovo tipo di politica scientifica ha degli inevitabili effetti collaterali: “Dobbiamo attivare meccanismi di valutazione della ricerca basati sul valore e sulla produttività”.

1 commento

  1. Quote: “Una delle nostre debolezze è la scarsa capacità di sfruttare le scoperte.”

    Questo è vero anche in campo brevetti. Molti ricercatori italiani talvolta non sanno neppure che le loro ricerche sono brevettabili e il loro potenziale economico. Il motivo è che moltissimi non sanno cercare leggere o redarre un brevetto. Maggiori informazioni su:
    http://brevettieinvenzioni.blogspot.com/

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