Scienza, venti consigli ai politici

La scorsa settimana la senatrice a vita Elena Cattaneo, nel corso di una lectio magistralis a Milano, aveva auspicato la creazione, in Senato, di un laboratorio sui generis: un gruppo di persone che insieme lavorassero per creare un “ponte tra la politica e la scienza”. Perché lo ha spiegato la stessa ricercatrice: “La politica disprezza la scienza. Anzi, non sa nemmeno cosa sia. Tanto che noi scienziati non veniamo mai consultati in modo costruttivo. Ecco: sarebbe bello poter creare questo ponte, per proporre quesiti, accendere un faro”. Lo scopo quindi è chiaro: fare in modo che il dibattito scientifico in politica sia fondato su basi ben salde. A proposito aveva detto qualche giorno prima: “Se ci fosse stato qualcuno a rappresentare la scienza forse non ci sarebbe stato l’obbrobrio Stamina“. 

Perché capire la scienza, i significati delle ricerche, i loro limiti e le loro reali applicazioni, per i non addetti ai lavori non è sempre facile (e i risultati del sondaggio sulle cellule staminali appena divulgati lo hanno dimostrato). E di temi caldi, in cui scienza e politica si incontrano e scontrano, ce ne sono eccome: dagli Ogm, alle cellule staminali al riscaldamento globale. Per questo, con l’intento di indirizzare i decisori e consiglieri politici, ma anche i funzionari pubblici e i giornalisti, questa settimana su Nature tre ricercatori, due dell’University of Cambridge e uno della University of Melbourne hanno stilato una lista di venti consigli rivolti a chiunque debba interagire con la scienza e gli scienziati, allo scopo di “aiutare i non addetti ai lavori a interrogare consiglieri e cogliere i limiti delle prove”. Perché è raro che le decisioni politiche vengano prese sulla base di studi dalle premesse e dai risultati netti, chiari, non necessari di ulteriori indagini. In altre parole, a volte serve una bussola per navigare nel mondo scientifico, con le sue certezze, i suoi dubbi e le sue smentite, perché, come scrivono gli stessi autori su Nature, la scienza ha una “natura imperfetta”. Se il goal dei tre ricercatori sembra a un primo approccio così vago non lo sono invece le venti tips che hanno messo insieme. Eccone qualcuna (la lista completa la trovate qui). 

Il primo consiglio è questo: capire che le enormi differenze osservate nel mondo reale sono determinate sia dal caso che da processi sottostanti. In pratica, se si volesse comprendere l’effetto dei cambiamenti climatici su una popolazione di uccelli, portano ad esempio i ricercatori, la ricerca deve poter separare questo argomento da tutte le altre possibili fonti di variazioni che lo possono influenzare (come l’agricoltura intensiva, la diffusione di specie invasive e il caso stesso, che modifica natalità e mortalità).

E ancora: quando si parla di misure, di qualsiasi tipo esse siano, bisogna considerare che non esiste la misura esatta; mentre in generale un campione molto numeroso è da preferirsi a quello numeroso e basta e che non sempre la correlazione implica un rapporto di causa-effetto. Inoltre, anche se può sembrare ovvio, i controlli sono importanti, come sistema di riferimento; la significatività statistica va considerata e capita (quanti conoscono il risultato di P<0,05?); laddove possibile la randomizzazione è fondamentale, per evitare pregiudizi e la replicazione fedele di uno studio (non la sua pseudoreplicazione, precisano i ricercatori), fornisce una base solida per la comparazione dei risultati. 

Ancora: quando si conduce un esperimento è fondamentale tenere in considerazione che le aspettative potrebbero influenzarne il risultato. Per questo, scrivono gli autori, l’esperimento ideale è quello condotto in doppio cieco: nè i partecipanti nè gli scienziati conoscono cosa viene somministrato e a chi. Più facile in alcuni campi in questo caso, come la farmacologia, meno in altri, come la sociologia. 

Ma andiamo avanti: i modelli applicati in un campo in un determinato intervallo temporale non si applicano in generale anche al di fuori di questo intervallo (è il caso, per esempio, del prevedere le risposte dei sistemi ecologici ai cambimaneti climatici). Vale a dire, in altre parole: estrapolare qualcosa oltre i dati stessi è rischioso. Similmente generalizzare i risultati di uno studio è pericoloso: è il caso dei limiti degli esperimenti condotti sugli animali.  

Tra gli altri consigli che compaiono nella lista di Nature due hanno a che fare più con la natura umana dei ricercatori, ovvero: quando si analizzano i risultati di uno studio bisogna considerare la possibilità che le evidenze a volte possano essere state prodotte per sostenere un punto di vista, e ancora che gli scienziati hanno tutto l’interesse a promuovere il proprio lavoro, per una questione di immagine, finanziamenti e a volte anche per trarne profitto, rischiando che i dati da loro presentati siano selettivi ed esagerati. A tal proposito la molteplicità delle fonti, la loro indipendenza e la replicabilità dei risultati, abbianati alla peer review (anch’essa non infallibile) possono però risolvere in parte il problema.

Ma, concludono gli autori, quanto sopra è solo un tentativo di far incontrare scienza e politica, ed è ovvio che non potrà trovare un’applicazione automatica nella società, sebbene sia un primo passo: “Quello che offriamo è un semplice elenco di idee che potrebbero aiutare i decisori ad analizzare in che modo le evidenze scientifiche possono contribuire a una decisione, e, potenzialmente, a evitare ogni indebita influenza da parte di coloro con interessi. La parte più difficile – l’accettabilità sociale delle diverse politiche – rimane nelle mani dei politici e del processo politico in senso più ampio”.

Riferimenti: Nature Doi:10.1038/503335a

Credits immagine: tkheilr/Flickr

1 commento

  1. suggerirei un gran bel libro: Fisica per i presidenti del futuro. di Richard Muller, in cui vengono esposte le conoscenze fondamentali utili per i politici che devono prendere delle decisioni in campo scientifico-tecnologico.

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