Scienziati d’accordo, politici no

Nel marasma delle opinioni sui cambiamenti climatici ci sono solo un paio di punti su cui sono più o meno tutti d’accordo. Uno: la concentrazione di anidride carbonica è aumentata del 30 per cento nell’ultimo secolo. Due: sempre nell’ultimo secolo la temperatura media del pianeta è aumentata di circa mezzo grado, e con essa anche il livello dei mari. Ma che i due fatti siano in relazione e soprattutto su cosa fare per porvi rimedio l’accordo è ancora lontano. Così, la Conferenza dell’Aja per la ratifica dei Protocolli di Kyoto si è chiusa nei giorni scorsi con un nulla di fatto. La volontà degli 83 Paesi firmatari del protocollo di Kyoto sembra insufficiente per passare dalle parole ai fatti.

“A Kyoto è stato individuato l’obiettivo comune di ridurre le emissioni del 5 per cento entro il 2010. Tuttavia i modi per raggiungerlo vedono l’Unione europea e gli Stati Uniti su posizioni diverse”, denuncia Vito Leccese, deputato dei Verdi, vicepresidente della Commissione Affari esteri della Camera e delegato italiano all’Aja. Sembra che le ragioni economiche abbiano alla fine prevalso nonostante secondo Leccese gli stessi delegati abbiano ormai presente la gravità della situazione, sottolineata senza mezzi termini sia dagli esperti che dalle organizzazioni ambientaliste. La nota di speranza è che il negoziato va avanti. “Fortunatamente il ministro dell’Ambiente olandese, Jan Prok, presidente della conferenza, ha deciso di non chiudere il negoziato”, aggiunge Leccese, “ci sarà un prossimo incontro nell’ottobre 2001 a Marrakech, preceduto da una sessione intermedia entro il 20 gennaio”.

Da un punto di vista prettamente scientifico, la questione del clima è comunque così complessa che nemmeno gli scienziati forniscono una valutazione univoca. Alcuni ritengono infatti che l’aumento di temperatura di questo secolo sia prodotto dall’aumento di anidride carbonica osservato. Altri ritengono invece che si tratti semplicemente di variabilità naturale. Altri ancora (e sono la maggioranza silenziosa) pensano che non sia possibile risolvere la questione con i dati a disposizione. “L’anidride carbonica è uno dei prodotti della combustione”, spiega Oreste Reale del Center for Ocean-Land-Atmosphere Studies di Calverton nel Maryland, “quindi è molto probabile che il suo aumento sia di origine antropica. Tutti i modelli concordano nell’attribuire all’anidride carbonica un ruolo importantissimo nel bilancio energetico del pianeta, e producono sensibili innalzamenti della temperatura media qualora il gas aumenti in maniera drastica. In ogni caso, il rischio che a ulteriori aumenti di anidride carbonica corrispondano aumenti di temperatura anche più drastici di quelli attuali è gravissimo”.

Nonostante l’accordo unanime su questo rischio, restano i problemi sulle strategie di intervento. “Da una parte ci sono gli Stati Uniti e i cosiddetti Paesi dell’ombrello, tra cui Canada, Australia e Giappone”, spiega Leccese, “che ritengono che l’obiettivo di Kyoto si possa raggiungere con la riforestazione ed evitando interventi di deforestazione. Gli europei sostengono invece che, accanto alla riforestazione, bisogna soprattutto ridurre le emissioni, quindi cambiare le politiche energetiche”. L’importanza della strategia di riforestazione è condivisa anche da molti scienziati. Ci spiega Reale: “Le foreste controllano il clima terrestre non solo perché sono ‘polmoni d’ossigeno’, ma soprattutto perché controllano il bilancio energetico e l’evaporazione su una data regione. Questo aspetto è ben compreso, per nulla controverso, e ha consentito di scoprire che quando si tagliano le foreste le piogge diminuiscono. Quindi il taglio di una foresta genera un nuovo clima più arido e incompatibile con il ritorno della foresta stessa. Vi sono molti studi di questo genere, che stanno dimostrando quanto il taglio delle foreste modifichi il regime delle precipitazioni su varie regioni della Terra. Tuttavia, di questo problema non c’è quasi menzione nel protocollo”.

I lavori della conferenza si sono bloccati dunque sul paragrafo relativo all’emissione di diossido di carbonio. Ma non vanno dimenticati gli altri paragrafi del protocollo sui quali bisogna ancora discutere. “Non ritengo che quello dell’anidride carbonica sia l’unico problema ambientale”, afferma Reale, “credo che questo punto sia molto chiaro agli americani. Gli Stati Uniti infatti, pur producendo più anidride carbonica di altri, sono per esempio il Paese che ricicla la maggior quantità di materiali. L’Italia fa bella figura nello scenario degli accordi di Kyoto, ma non significa che sia all’avanguardia nelle sue politiche ambientali, basta vedere il problema del riciclaggio, del disboscamento e dell’inquinamento urbano. In conclusione auspico che le rivalità politiche ed ideologiche cedano il passo ad una sincera volontà di risolvere i problemi, compresi quelli su scala locale, non solo globale. E che i Paesi smettano di puntare l’indice gli uni agli altri, ma lavorino invece assieme, nel rispetto reciproco dei problemi e delle realtà economiche che li caratterizzano”.

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