Scimpanzé come noi

Il suo nome scientifico è Pan Troglodytes, ma c’è chi propone di chiamarlo Homo Troglodytes. Con il 98,4 per cento del Dna in comune con gli umani, lo scimpanzé è biologicamente più simile a noi che non ai gorilla. In attesa dei risultati del progetto genoma per gli scimpanzé, che svelerà forse la vera natura di quell’1 per cento di patrimonio genetico non condiviso, i sostenitori della loro emancipazione stanno preparando una grande rivoluzione culturale. Da molti anni Stephen Wise, affermato avvocato di Boston, si batte affinché vengano attribuiti ai nostri simili, appartenenti alla famiglia degli Hominoidei, quei diritti fondamentali della persona riconosciuti universalmente validi per tutti gli esseri umani: diritto alla vita, alla libertà e al rispetto. Le scimmie antropomorfe diventerebbero così soggetti titolari di diritti e non più oggetti tutelati dalla legge. Una svolta nel campo della giurisprudenza che solo un esperto di diritto può ambire a realizzare. Più incisivi sul piano culturale che su quello pratico, si sono infatti finora rivelati gli appelli del filosofo australiano Peter Singer, fondatore del movimento per la liberazione degli animali, contestato duramente per aver affermato che la vita di un pollo o di un coniglio ha più valore di quella di un feto umano a qualunque stadio della gravidanza.

Promotore del movimento “Great Ape Project” (progetto grandi scimmie antropomorfe), manifesto per il diritto alla vita, alla libertà, al rispetto di tutte le scimmie antropomorfe, il giacobino Singer ha risvegliato le coscienze e smosso gli animi preparando il terreno per la rivoluzionaria riforma di codici e leggi. L’obiettivo di Wise adesso è quello di ottenere da un parlamento l’approvazione della carta dei diritti per gli scimpanzé che sancisca nei suoi articoli le libertà fondamentali di cui questi animali potranno godere. Dopo essere state snobbate per anni dalle università americane, ora le sue tesi sono entrate “di diritto” nell’olimpo della giurisprudenza accademica statunitense e vengono insegnate alla prestigiosa università di Harvard nel corso intitolato “Animal Law”, in cui Wise propone agli studenti di riesaminare, nel campo del diritto, la linea di confine tra umani e non umani.

Le capacità mentali di uno scimpanzé sono, infatti, elevatissime, la sua vita sociale è complessa, sa servirsi di strumenti e risolvere i problemi. È a tutti gli effetti, secondo Wise, “un essere intelligente che riflette ed elabora ragionamenti, con coscienza di sé”. Quindi una persona, secondo la definizione di John Locke. Inoltre è stata ampiamente documentata l’esistenza di abitudini sociali tramandate di generazione in generazione, non attraverso i geni, ma grazie all’apprendimento, il che dimostra la capacità di fondare una cultura. Nelle 21 regioni africane abitate dagli scimpanzé, questi animali hanno formato negli anni comunità che differiscono tra loro per comportamenti e usi. L’indagine condotta di recente da un gruppo internazionale di ricerca e pubblicata su “Le Scienze” ha individuato circa 40 modalità di comportamento etichettabili come differenze culturali. Jane Goodall, la pioniera del nuovo rapporto uomo-primate, che ha “osato” identificare gli animali con nomi e non con numeri e che scriveva nei suoi resoconti he o she al posto di it, già nei primi anni Settanta aveva individuato e descritto 13 tipi di attrezzi usati dagli scimpanzé della regione di Gombe in Tanzania, ma sconosciuti a gruppi di scimpanzé di altre località.

In cattività, se sottoposti a una rigida educazione, questi animali imparano a contare, a comunicare con la lingua dei segni (l’American Sign Language usato per i sordi), utilizzandone più di 300 e persino a inserire il gettone nel distributore automatico di lattine per scegliere la propria bibita preferita, come è accaduto allo zoo di Tokio davanti a un gruppo di visitatori stupefatti. Ma finora questo incontestabile antropomorfismo non li ha premiati. Nel suo libro “Rattling the Cage, Toward Legal Rights for Animals” Wise azzarda un paragone: prima che venisse abolita la schiavitù neanche tutti gli uomini erano uguali di fronte alla legge. Il fatto che 300 anni fa esistessero esseri umani titolari di diritti fondamentali e altri che ne erano privi, dimostra che i principi su cui si basa il diritto sono soggetti a cambiamenti storici. Ed è arrivato il momento storico, sostiene Wise, per affermare l’emancipazione degli scimpanzé. La loro condizione attuale li vede ancora vittime di sopraffazione da parte dell’uomo che si serve di loro come cavie per esperimenti, che li utilizza come intrattenimento in circhi e giardini zoologici, che li cattura per consumarne la carne. In Africa, soprattutto nel bacino del Congo, il commercio della cosiddetta “carne da foresta” (bush meat), che ora si sta diffondendo anche in Europa, è un’attività molto redditizia. Eppure questi animali sono tutelati dalla Convenzione di Washington sulle specie protette di cui è firmatario anche il Congo.

Le tesi di Stephen Wise e il progetto “grandi scimmie antropomorfe” però non riscuotono il consenso di tutti gli animalisti, alcuni dei quali criticano l’operazione considerandola un modo per allargare la cerchia degli eletti dalla quale verrebbero esclusi tutti gli altri animali, per molti aspetti anche loro simili agli umani. Ma se l’Animal Law e il “progetto grandi scimmie antropomorfe” non convincono del tutto i difensori degli animali, testimonianza incontrovertibile del privilegio della somiglianza tra le due specie viene fornita dalle foto facilmente reperibili in Internet che ritraggono negli stessi atteggiamenti un uomo dei nostri tempi e un suo sosia peloso. Con buona pace di tutti gli animalisti e a conferma di quanto sostiene Wise, i due soggetti sono proprio identici. L’unica differenza è che uno dei due è l’attuale presidente degli Stati Uniti d’America.

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