Sclerosi multipla e CCSVI, un nuovo studio contro il metodo Zamboni

Proprio nei giorni in cui le gardenie dell’Aism (Associazione italiana sclerosi multipla) erano nelle piazze italiane per sostenere la ricerca sulla sclerosi multipla, è arrivato un vero colpo basso per una potenziale strategia che era stata proposta per trattare questa malattia: secondo uno studio della University of British Columbia e della Vancouver Coastal Health (Canada), presentato durante il meeting annuale del Society for Interventional Radiology a Washington, il cosiddetto metodo Zamboni non apporterebbe alcun beneficio per i pazienti con sclerosi multipla.

La strategia ideata da Paolo Zamboni, esperto in chirurgia vascolare dell’università di Ferrara, è stata per anni motivo di dibattito e scetticismo da parte della comunità scientifica: l’ipotesi del medico ferrarese si basa sull’associazione tra la sclerosi multipla, malattia neuro-degenerativa in cui il sistema immunitario attacca il rivestimento protettivo dei neuroni, e un problema circolatorio del sistema nervoso centrale, ovvero l’insufficienza cerebrospinale venosa cronica (Ccsvi). Questo disturbo vascolare sarebbe il responsabile del ristagno di sangue e, quindi, di una maggior quantità di ferro, che causerebbe un danno al cervello, innescando la risposta autoimmune tipica della sclerosi multipla. Zamboni ha così ideato un intervento chirurgico di angioplastica, allo scopo di liberare (dilatare) i vasi ostruiti, tramite una sonda con un piccolo palloncino (venoplasty).

Per arrivare alla conclusione che questa strategia non sia efficace nel trattamento della sclerosi multipla, lo studio ha coinvolto 104 persone di Vancouver, Winnipeg, Montreal e Quebec City, affette tutte dalla sclerosi multipla e con un restringimento della vena giugulare (che drena il sangue dal cervello) o della vena azygos (che drena il sangue dal midollo spinale).

A tutti i partecipanti è stato inserito un catetere: solo a 49 di loro è stato effettivamente gonfiato il palloncino, mentre gli altri hanno ricevuto un trattamento sham (falso), l’equivalente chirurgico di un placebo. Inoltre, lo studio è stato in doppio cieco: né i pazienti né i medici sapevano chi stava ricevendo il trattamento reale e chi invece la falsa procedura.

Nei due follow-up (il primo a tre giorni dal trattamento e l’atro un anno dopo), i ricercatori non hanno verificato alcuna differenza significativa dei sintomi in entrambi i gruppi: i risultati della risonanza magnetica (per contare il numero di nuove lesioni nella mielina), così come dei test standard sui sintomi della sclerosi multipla e delle autovalutazioni dei pazienti, del gruppo del palloncino erano statisticamente gli stessi di quelli del gruppo falsamente trattato.

“Ci auguriamo che questi risultati, provenienti da uno studio attentamente controllato, gold standard, potranno convincere le persone con sclerosi multipla a non proseguire la terapia, che essendo una procedura invasiva, comporta un maggior rischio di complicanze”, spiega Anthony Traboulsee, della University of British Columbia. “Per fortuna, ci sono una serie di trattamenti farmacologici che hanno dimostrato, attraverso studi rigorosi, di essere sicuri ed efficaci nel rallentare la progressione della malattia”.

Via: Wired.it

Marta Musso

Laureata in Scienze Naturali alla Sapienza di Roma con una tesi in biologia marina, ha sempre avuto il pallino della scrittura. Curiosa e armata del suo bagaglio di conoscenze, si è lanciata nel mondo del giornalismo e della divulgazione scientifica. “In fin dei conti giocare con le parole è un po' come giocare con gli elementi chimici”.

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