Scoperto il gene della sindrome di DiGeorge

Un altro ricercatore italiano all’estero conquista gli onori della cronaca scientifica con una scoperta che getta nuova luce sulle cause genetiche di una malattia che colpisce un bambino ogni 4 mila nati. Lo scienziato in questione è Antonio Baldini, del dipartimento di cardiologia pediatrica e genetica molecolare e umana del Baylor College of Medicine in Texas. Le sue ricerche condotte oltreoceano lo hanno portato a scoprire le basi genetiche della sindrome di DiGeorge, la causa genetica più frequente di malformazioni cardiache dopo quella di Down. Definita alla metà degli anni Sessanta da Angelo Digiorgio, la patologia è caratterizzata da alcuni sintomi identificati dall’acronimo CATCH 22: Cardiopatie congenite, Anomalie della facies, ipo-aplasia del Timo, palatoschisi (Cleft palatale), (H)ipoparatiroidismo, tutti associati a mutazioni del cromosoma 22. Ora il ricercatore italiano ha individuato in topi da laboratorio il gene responsabile delle cardiopatie sviluppate nei neonati affetti dalla sindrome. E’ il Tbx1, uno dei tanti geni posizionati nella zona del cromosoma 22 la cui perdita è stata individuata da anni quale causa scatenante di tutta la malattia. Il lavoro è iniziato circa 10 anni fa con i fondi dei National Institutes of Health e dell’American Heart Association. Abbiamo chiesto a Baldini di spiegarci le sue ricerche e anche il motivo del suo esilio.

Professor Baldini, perché ha deciso di proseguire le sue ricerche negli Stati Uniti?

“Lavoro qui da circa 14 anni e non sono tornato perché non mi è stata data l’opportunità di tornare in Italia. Per quel che mi riguarda sarei pronto. Nel frattempo, sono molto orgoglioso di dire che il mio laboratorio ha dato, e continua a dare, l’opportunità di research training per diversi giovani ricercatori italiani. Due di questi sono co-autori della nostra recente scoperta”.

Qual è la causa genetica che provoca la sindrome di DiGeorge?

“Una delezione, ovvero la perdita di un segmento del cromosoma 22 (tecnicamente, del 22q11) che comprende circa 3 milioni di coppie di basi di Dna, che codificano per molti geni. Questo tipo di malattie genetiche è molto difficile da studiare proprio perché è arduo stabilire quale dei tanti geni compresi nella delezione causa la malattia”.

La malattia dipende dalla mutazione di un solo gene?

“Il nostro lavoro dimostra che la mutazione di un solo gene, chiamato Tbx1, è sufficiente per causare i sintomi più importanti della malattia. E difficile a questo punto stabilire se Tbx1 è responsabile di tutti i sintomi perché i nostri dati si riferiscono al topo di laboratorio”.

Quale tecnica avete utilizzato?

“Abbiamo usato molte tecniche, ma quella chiave è definita “Ingegneria Cromosomica”. E’ un metodo che permette di generare artificialmente e in maniera estremamente precisa difetti cromosomici nel topo simili a quelli osservati in certe malattie umane (compreso la sindrome di DiGeorge). Questa tecnica fu sviluppata al Baylor College of Medicine qualche anno fa da Allan Bradley. Il nostro lavoro rappresenta la prima applicazione di questa tecnica nello studio delle malattie genetiche umane. La tecnica è estremamente potente e sono sicuro che vedremo molti altri esempi in futuro”.

Quali potrebbero essere le implicazioni di questa scoperta?

“Il lavoro pubblicato su Nature descrive anche la “cura” del modello di topo con una procedura di terapia genica che non è possibile negli esseri umani. Spero che un giorno riusciremo a identificare una forma di prevenzione delle cardiopatie congenite, ma ci vorrà molto tempo. Per adesso abbiamo generato un modello animale su cui possiamo sperimentare trattamenti che non sono però sperimentabili nei pazienti”.

Come proseguiranno ora le vostre ricerche?

“Tbx1 è un fattore di trascrizione che controlla altri geni importanti per lo sviluppo di organi (compreso il cuore) che sono spesso affetti in molte malattie congenite e acquisite. La studio dettagliato di questo network genetico ci darà informazioni preziose non solo per la sindrome di DiGeorge ma anche per molte altre malattie genetiche. Inoltre, abbiamo osservato che, come nell’uomo, non tutti i topi portatori della mutazione hanno difetti cardiaci. Vogliamo scoprire le basi molecolari di queste differenze perché potrebbero indicarci la strada verso la prevenzione. Non abbiamo ancora finito, ma questa scoperta è una luce che ci illumina la strada”.

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