Se il cervello si autoripara

È possibile sfruttare la capacità di auto-ripararsi che il cervello possiede – seppur in modo limitato – per rigenerare le zone danneggiate da malattie acute come l’ictus, o croniche come il morbo di Alzheimer?

Le ricerche in questa direzione sono ancora nella fase iniziale, ma un gruppo di italiani, guidati da Maria Pia Abbracchio dell’Università di Milano e da Mauro Cimino dell’Università di Urbino, è riuscito a potenziare questa capacità autorigenerativa. La ricerca, presentata su Plos One, si basa sulla possibilità di indurre cellule simili alle staminali presenti nel cervello adulto (chiamate “progenitrici”) a formare nuove cellule nervose del tipo desiderato (qui il link allo studio).

La riparazione dei circuiti cerebrali avviene durante tutta la vita. In caso di danno cerebrale, però, questo processo interviene solo in una piccola zona e non si propaga in modo significativo a tutta la parte lesionata. Il danno, quindi, prevale.

Ma come si attiva il meccanismo di riparazione? I ricercatori hanno osservato che alcune cellule adiacenti all’area danneggiata emettono un segnale di allarme che attiva altre cellule e le induce a riparare i neuroni. Il segnale, però, viene captato solo da quelle cellule che possiedono un particolare recettore, il GPR17, già individuato dallo stesso  gruppo di ricerca  in uno studio precedente.

Abbracchio e colleghi hanno quindi provato a potenziare l’attività del recettore GPR17: “Abbiamo visto che la stimolazione del recettore con i suoi ligandi naturali aumenta notevolmente la maturazione delle cellule verso forme più specializzate, in grado di riformare la mielina. Queste cellule restituiscono ai neuroni la capacità di trasmettere impulsi” spiega la ricercatrice.

Obiettivo degli studiosi è ora lo sviluppo di terapie che potenzino l’attività del recettore GPR17  e spingano il differenziamento delle cellule progenitrici verso il tipo cellulare danneggiato dalla malattia:  “Pensiamo di utilizzare un approccio misto che combini l’uso di agenti farmacologici attivi su GPR17 con l’uso di farmaci biotecnologici”, conclude Davide Lecca, tra i primi autori dello studio. (ga.c.)

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