Quando si tratta di giocare, le bambine scelgono le bambole e i maschi le macchinette. Eppure, queste preferenze non sono innate, ma tendono a essere favorite dai comportamenti degli adulti. Lo suggerisce uno studio pubblicato su Child Development da un gruppo di ricerca della Pennsylvania State University (Usa). I ricercatori hanno analizzato il ruolo della scuola nella nascita degli stereotipi sessuali, scoprendo che l’atteggiamento degli insegnanti può influire sulle scelte e sui comportamenti dei bambini nei confronti dell’altro sesso.
Per dimostrarlo, il gruppo di ricerca ha lavorato per due settimane con 57 bambini dai 3 ai 5 anni di età iscritti a due differenti asili nido. Le due scuole erano uguali per numerosità delle classi e rapporto insegnanti-bambini, ma, nell’esperimento, differivano per “politiche” educative. Se in un caso vi era attenzione a non fare alcuna distinzione in base al sesso, nell’altro è stato chiesto alle maestre di rivolgersi agli alunni utilizzando un linguaggio che marcasse le differenze di genere. Ad esempio, i bambini dovevano mettersi in fila dividendosi per maschi e femmine. In entrambi i casi, tuttavia, si evitava di pronunciare frasi del tipo: “Chi è più bravo, le femmine o i maschi?”, così da non dare espliciti giudizi di merito che potessero far nascere inconsapevolmente nel bambino pregiudizi sessuali.
Durante le due settimane, i ricercatori hanno osservato i bambini per scoprire se l’atteggiamento delle maestre influisse in qualche modo sui loro comportamenti nei confronti dei compagni dell’altro sesso. Alla fine del periodo di studio, inoltre, i ricercatori hanno parlato con i bambini per capire se avevano cambiato le loro abitudini di gioco o avevano sviluppato pregiudizi di natura sessuale.
È così emerso che mentre nel primo asilo i bambini continuavano a comportarsi nello stesso modo ignorando stereotipi di genere, nel secondo sviluppano preferenze stereotipate verso determinate attività (per esempio, solo le femmine giocano con le bambole) e avevano meno voglia di giocare con i compagni dell’altro sesso.
Riferimento: DOI: 10.1111/j.1467-8624.2010.01510.x
L’animale uomo grazie alla consapevolezza deve cercare ed ipotizzare e ( qualche volta) verifica sul mondo intorno e su sè stesso. Essere maschi o femmina può non coincidere con il sentirsi maschi o femmina e l’ambiente, la cultura e le abitudini possono rendere questa differenza più o meno evidente , più o meno importante per come noi ci sentiamo vissuti dal prossimo. Essendo oltre che coscienti, geneticamente, animali sociali è altrettanto, per me, evidente che ci specchiamo nel nostro prossimo ed abbiamo bisogno di sentirci accettati, valorizzati ed amati. Anche la cultura in cui viviamo evolve e si modifica ha bisogno di leggi rigide che ne permettano il cambiamento . Le norme sono racchiuse nel “comune senso” di una comunità , esse permettono la sopravvivenza della stessa . L’essere considerato maschio o femmina è funzionale al senso comune ed alla organizzazione di quella comunità. Non si può pensare di modificare questi senza alterare l’altra : si tratta di una simbologia profonda e diffusa che regge su “credenze” condivise e se crolla anche una sola di queste anche le altre crollano come un castello di carta. Non è un giudizio morale e neppure di scala di valori ; come nella genetica classica non possiamo selezionare il singolo gene con le caratteristiche vantaggiose. In realtà il gene non ha priorità di valori se non nella maggiore o minore capacità/probabilità di diffondersi. Siamo sicuri che questo sia una priorità per tutti i circa 6 miliardi di esseri che vivono sulla terra o una speculazione di una minoranza che è auto convinta di essere la guida per tutto il resto della nostra umanità ?
Condivido con lei sig. Olivieri il riferimento implicito che esiste fra organizzazione di una popolazione e la visione sociale dei suoi appartenenti del sesso. L’una è intimamente correlata alla percezione che ognuno di noi e la nostra comunità hanno del sesso degli individui, dei suoi atteggiamenti, dei modi di “sentire” del maschio e della femmina.
Sono d’accordo inoltre sul corollario che lei manifesta, la minoranza deve essere vista come tale né la società ne deve essere sottomessa, né la deve osteggiare. Il tempo farà il suo corso.
Credo che l’articolo su Child Development confermi ciò che ci era noto e cioè che a quattro anni i bambini sono perfettamente consapevoli di distinguere fra maschile e femminile, sia nel linguaggio che nei comportamenti.
Credo anche che l’articolo confermi che lo scopo della scuola sia quello di sviluppare le capacità di apprendimento e di espressione sia individuali che di gruppo e che di solito queste capacità non sono fortemente condizionate dal genere.
Ma anche le comunità possono essere ambienti di sviluppo: scoprire di avere delle capacit:à che tradizionalmente non si pensava di avere fa bene sia alle femmine che ai maschi e questo appunto è il risultato di un mondo più influenzato dalla scolarizzazione e meno dai pregiudizi.