Se questa è un’epidemia

L’allarme mucca pazza tiene alta l’attenzione dei consumatori di tutta Europa ormai da mesi, ha costretto le famiglie a cambiare abitudini alimentari, i ristoranti a variare i menù, i macellai ad abbassare i prezzi e i governanti a varare severe norme di controllo sulla qualità delle carni. Tutti sforzi che alla luce del caso siciliano sembrano ora vanificati. Serve, una volta di più essere chiari, per evitare allarmismi inutili o isterie. Ecco alcune risposte alle domande che in queste ore è facile porsi.

Cosa è la variante umana del morbo della mucca pazza?

La malattia che ha colpito la ventiquattrenne siciliana è la variante della malattia di Creuzfeldt-Jacob (vCj), una patologia degenerativa del cervello che nella sua forma classica è conosciuta già da anni e colpisce principalmente le persone anziane, in genere dopo i 65 anni. Questa variante invece si manifesta in soggetti giovani.

Perché si chiama così?

La somiglianza della vCj con il morbo della mucca pazza (Bse) nei bovini, e la concomitanza dei primi casi diagnosticati con un’epidemia di Bse in alcune mandrie in Gran Bretagna ha fatto sì che le due malattie fossero messe in relazione. E che si cominciasse a pensare che il consumo di carne bovina affetta da encefalopatia spongiforme bovina fosse la causa della malattia umana. In entrambi i casi, infatti, nel cervello malato l’azione di alcune proteine mutate, particolari prioni, provoca la formazione di placche e rende il tessuto cerebrale simile a una spugna.

Come si trasmette?

Gli scienziati di tutto il mondo sono alla ricerca della prova del passaggio della malattia dai bovini agli umani. Per ora l’unica certezza è che nel campo delle encefalopatie spongiformi il cosiddetto passaggio di specie, il trasmettersi cioè della patologia fra specie animali diverse, è già avvenuto: dagli ovini ai bovini. L’utilizzo dei resti di pecore affette da scrapie, l’encefalopatia spongiforme ovina, nella composizione dei mangimi per le mucche ha infatti consentito alla malattia di estendersi anche ai bovini.

Che misure sono state prese per contrastare l’epidemia in Italia?

Dall’ottobre del 2000 è stato vietato il consumo degli organi bovini a rischio, quelli cioè dove è maggiore la presenza di prioni, principalmente cervello, midollo spinale, parti molli. Dal gennaio 2001 in Italia sono obbligatori i test rapidi sui campioni di carne bovina macellata. Finora sono state effettuate 541.233 analisi per verificare la presenza del morbo, 53 delle quali sono risultate positive. In questi due anni di allarme mucca pazza i carabinieri hanno effettuato circa 12.000 ispezioni in centri di lavorazione delle carni, allevamenti, macellerie, magnifici e stabilimenti.

Il caso della ragazza siciliana dimostra che i controlli sono inutili?

I ministri della Salute e delle Politiche agricole ritengono che la ragazza affetta dalla variante umana della sindrome della mucca pazza si sia contagiata prima dell’entrata in vigore delle misure attualmente in vigore. Eppure secondo uno dei massimi esperti internazionali sulle malattie da prioni, il neuropatologo Adriano Aguzzi, dell’università di Zurigo, “per dieci anni ci si è rifiutati di prendere atto del fatto che la Bse in Italia c’era e negli anni 90 si è continuato a utilizzare materiale a rischio”. I casi italiani quindi sarebbero stati evitabili.

Si può parlare di allarme mucca pazza in Italia?

Dal punto di vista statistico era probabile che almeno un caso di variante umana di mucca pazza potesse colpire l’Italia. A fronte di 53 casi di malattia accertata nei bovini, “era utopistico pensare che il nostro Paese rimanesse indenne”, ha dichiarato Alberto Albanese, primario neurologo dell’Istituto Besta di Milano. Le previsioni per il futuro sono difficili da fare. I due principali scenari disegnati finora dagli esperti si basano sul tempo di incubazione della malattia, su cui però la comunità scientifica non ha ancora emesso un verdetto definitivo. Se fosse di 10 anni, l’epidemia potrebbe essere piuttosto contenuta e avere il picco proprio in questi anni. Se invece i tempi di incubazione fossero più lunghi, per esempio di 20 anni, allora ci si dovrebbe attendere un’epidemia molto più estesa, che potrebbe raggiungere il picco nel 2006. Considerando inoltre che il picco della malattia nei bovini risale a circa 10 anni fa, è molto probabilmente avvenuta in quel periodo anche la massima esposizione dell’uomo al prione alterato. Basti pensare che allora un hamburger su 10 conteneva cervello bovino.

Come si fa una diagnosi?

Le placche causate dall’azione dei prioni si possono individuare grazie alla risonanza magnetica e all’elettroencefalogramma. Se a questo si aggiungono i disturbi neurologici e le difficoltà motorie si arriva a emettere una diagnosi quasi certa. Ma la sicurezza assoluta può venire soltanto dopo la morte del paziente grazie all’esame istologico eseguito sul tessuto cerebrale. “Quando la giovane siciliana si è rivolta a noi alla fine d’agosto”, ricorda Piccoli, “ci siamo subito posti il problema di una diagnosi che, già allora, richiamava i sintomi della variante umana della malattia di Creutzfeldt-Jackob”.

Quali sono i sintomi della malattia?

La variante della malattia di Creutzfeldt-Jacob si manifesta in giovane età e per questo si differenzia dalla forma classica. I primi sintomi sono di natura psichiatrica, che lasciano spazio poi a demenza e a disturbi nei movimenti di braccia e gambe. Nel caso della giovane siciliana le condizioni vengono definite “severe” dal suo medico curante: “Non cammina agevolmente e ha numerosi vuoti di memoria”. Sulla base dell’ esperienza degli altri casi registrati in Europa si stima che la malattia abbia un decorso di circa un anno.

Ci sono cure o terapie possibili?

Al momento non ci sono farmaci o terapie specifiche per il trattamento della variante della malattia di Creutzfeldt-Jacob. Una speranza è venuta la scorsa estate da un articolo pubblicato nella rivista Proceedings of the National Academy of Science (Pnas). La firma era quella di Stanley Prusiner, Nobel per la medicina proprio per aver individuato i prioni, e illustrava i risultati ottenuti da due farmaci normalmente utilizzati per la cura della malaria e della schizofrenia nel far tornare normali cellule cerebrali di topi impazzite a causa del prione. Il cocktail è stato somministrato a una ragazza britannica di 20 anni ormai incapace di parlare, camminare e nutrirsi. Dopo soli 19 giorni di cura, la giovane, è tornata all’autosufficienza. Il ministro della Salute Girolamo Sirchia ha rilasciato il nulla osta all’importazione dall’Inghilterra della quinacrina, il farmaco sperimentale destinato alla giovane siciliana colpita dalla variante della malattia Creutzfeldt-Jacob.

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