Siamo tutti matematici

Keith Devlin
Il gene della matematica
Longanesi, 2002
pp. 377, euro 16,80

I matematici non possiedono abilità esclusive. In pratica, tutti hanno il gene della matematica. Abbiamo quel gene perche gli aspetti del nostro cervello che ci consentono di fare matematica sono gli stessi che ci permettono di comprendere il mondo e le persone che lo popolano: la capacità di riconoscere il vasto repertorio di tipi con cui classifichiamo la realtà; e la struttura sintattica universale del cervello umano. Questa e la tesi che l’autore dimostra abilmente nel suo saggio sulla matematica; o meglio nel suo libro che, capitolo dopo capitolo, sembra trasformarsi in un trattato di etologia, in uno di neuropsicologia, e ancora, in un trattato sull’evoluzione di Homo sapiens.In realtà, non abbiamo nel nostro genoma sequenze che ci conferiscono la capacità di fare matematica, tuttavia, secondo l’autore, tutti gli uomini sono ugualmente in grado di affrontare questa disciplina, semplicemente perché essa é una diretta conseguenza di una caratteristica tipica dell’essere umano: il linguaggio. Quando l’umanità acquisì la capacita di comunicare con i suoi simili tramite il linguaggio si appropriò anche della possibilita di fare matematica.

Con uno stile colloquiale e con la continua richiesta di partecipazione attiva dei lettori, Devlin guida alla scoperta delle origini e del significato primo e piu profondo della matematica. Innanzi tutto dimostra che, negli uomini, il senso del numero è innato. Lo fa elegantemente, riportando alcuni studi sul comportamento dei bambini in età prescolare e servendosi di studi di neuropsicologia, effettuati su pazienti che avevano subito lesioni cerebrali circoscritte. Ma, oltre al senso innato del numero, come spiega l’autore, gli essere umani possono contare e usare una rappresentazione simbolica dei numeri. Queste prerogative furono acquisite dai nostri progenitori in un periodo compreso tra 75.000 e 200.000 anni fa, in conseguenza dell’acquisizione, esclusivamente umana, del linguaggio.

Se il linguaggio e la matematica hanno le stesse fondamenta, rimane da capire perché tante persone restano ostili alla materia o semplicemente dicono di “non essere portati per la matematica”? Devlin ritiene che sia solo una questione di volontà: “la chiave per arrivare alla matematica consiste nel volerci arrivare”. La materia, ammette l’autore, è difficile, ma una sua comprensione di base e concessa a tutti. D’altronde la sua utilizzazione è quotidiana e spesso involontaria: si riescono così a risolvere problemi che a scuola sembravano particolarmente complicati o irrisolvibili. Questo perché la vera difficoltà è quella di calarsi in un mondo completamente astratto, uscire dal mondo reale e andare a esplorarne uno fatto di simboli e formule. Il messaggio dell’autore è quindi quello di spogliarsi dell’ostilità ingiustificata per la materia: saper parlare significa poter fare matematica.

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