Per decidere di smettere di fumare è meglio pensare ai benefici che si possono ottenere piuttosto che ai rischi che si corrono continuando. È quanto hanno osservato i ricercatori dell’Università di Yale in uno studio, pubblicato sul Journal of National Cancer Institute.
La ricerca ha coinvolto gli operatori della New York State Smokers’ Quitline, un servizio gratuito di assistenza telefonica per fumatori dello Stato di New York. Alcuni operatori hanno fatto leva soltanto su messaggi che insistevano molto sui vantaggi – sanitari, sociali, economici, estetici – che abbandonare le sigarette può portare; altri hanno utilizzato i messaggi classici che spiegavano sia i danni del fumo sia i benefici dello smettere. Le telefonate sono state effettuate tra marzo e maggio del 2008. Tutti i partecipanti riconosciuti clinicamente idonei, inoltre, hanno ricevuto la terapia sostitutiva della nicotina.
Dopo due settimane, i volontari del primo gruppo hanno mostrato un più alto numero di tentativi di smettere di fumare e un più alto “indice di astinenza dal fumo” (il 23 per cento, 99 su 424 fumatori) rispetto a chi aveva ascoltato messaggi standard (il 13 per cento, 76 su 603). Questa strategia però si è rivelata più efficace dell’altra solo sul breve periodo: dopo tre mesi non è stata individuata alcuna differenza sostanziale tra i due gruppi.
“La ricerca dimostra che le affermazioni ‘volte al guadagno’ sembrano essere più utili di altre in strategie a breve termine e nel raggiungere obiettivi secondari, quali aiutare le persone a decidere di smettere definitivamente e ad avere aspettative migliori per la salute”, ha riassunto Benjamin Toll, del Dipartimento di Psichiatria di Yale e coordinatore dello studio. “I programmi delle Quitline hanno bisogno di conoscenze più specifiche su queste tecniche di consulenza e su come ottimizzare l’utilizzo di farmacoterapie. Questi risultati servono a mettere a punto strategie più efficaci orientate ai giovani, che utilizzano sms e social network”, ha commentato, nell’editoriale che accompagna lo studio, Robert Croyle del National Cancer Institute. (a.o.)
Riferimenti: JNCI doi:10.1093/jnci/djp468
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